venerdì 22 gennaio 2016

Corriere 22.1.16
L’inchiesta Etruria, si riapre il caso del procuratore
Il Csm studia i legami con papà Boschi
Rossi lo indagò ma dice di non conoscerlo, interviene anche il pg della Cassazione. Rischia il trasferimento
di Fiorenza Sarzanini

ROMA La partita si riapre, adesso il procuratore di Arezzo Roberto Rossi — titolare delle indagini sul fallimento di Banca Etruria — rischia il trasferimento per incompatibilità ambientale. Non solo. Anche la procura generale della Corte di cassazione ha chiesto gli atti al Consiglio superiore della magistratura e ciò vuol dire che nei suoi confronti potrebbe essere aperto anche un procedimento disciplinare. Le verifiche riguardano la gestione del fascicolo processuale e quanto raccontato da Rossi nel corso delle sue audizioni al Csm. Il magistrato aveva infatti negato di aver avuto a che fare con l’ex vicepresidente dell’istituto di credito Pierluigi Boschi, omettendo di raccontare che in passato lo aveva iscritto nel registro degli indagati e poi prosciolto nell’ambito di un’inchiesta in cui erano ipotizzati reati gravi come turbativa d’asta, riciclaggio ed estorsione. Mentre arriva la richiesta di rinvio a giudizio per i primi due filoni sul dissesto della banca aretina, l’organo di autogoverno mette in dubbio la correttezza del capo dei pubblici ministeri e decide di verificare se avesse avuto l’obbligo di astenersi.
La consulenza
La pratica contro Rossi era stata avviata dal Csm per stabilire l’opportunità di indagare su Banca Etruria ed essere contemporaneamente consulente del governo per la concessione di pareri giuridici in materie penali, visto che Boschi è il padre della ministra per le Riforme Maria Elena. Il magistrato aveva spiegato di aver avuto l’incarico quando a Palazzo Chigi c’era Enrico Letta e di aver poi ottenuto proroghe che non avevano «in alcun modo interferito con il mio lavoro di procuratore». E alla domanda sui suoi eventuali rapporti con la famiglia Boschi aveva categoricamente negato di conoscerli. Una difesa apparsa convincente, tanto che fino a tre giorni fa veniva data per scontata l’archiviazione del caso.
Tutto è cambiato lunedì, quando il settimanale Panorama ha pubblicato un lungo articolo per rivelare che nel 2010 Rossi, all’epoca sostituto ad Arezzo, aveva cominciato a indagare proprio su Pierluigi Boschi per una compravendita immobiliare che coinvolgeva anche un suo socio calabrese ritenuto dagli investigatori «personaggio legato alla ‘ndrangheta». E ha messo in fila le date della vicenda: la prima richiesta di archiviazione per la turbativa d’asta è di febbraio 2013; pochi giorni dopo Maria Elena Boschi diventa ministro; a novembre per Pierluigi Boschi cade anche l’accusa di estorsione.
La doppia indagine
Ieri mattina si riunisce la prima commissione del Csm. Una nota ufficiale firmata dai consiglieri Piergiorgio Morosini, relatore del fascicolo, e serve a comunicare che «a tutela della trasparenza e della credibilità dell’operato della magistratura, si è deciso all’unanimità un ulteriore approfondimento sulla vicenda con la formulazione di una richiesta di informazioni al Procuratore Generale di Firenze». Non è tutto: «È stata accolta la richiesta di acquisizione degli atti del Procuratore Generale presso la Corte di cassazione».
Obiettivo delle indagini è verificare come mai Rossi non abbia parlato di quella vecchia inchiesta. L’indagine dovrà stabilire se avesse dovuto astenersi dall’indagare su Etruria e sull’operato di Pierluigi Boschi come vicepresidente. La proroga dell’incarico è stato infatti ottenuta dopo l’archiviazione dell’altro fascicolo, quando a Palazzo Chigi è arrivato Matteo Renzi e uno dei ministri del suo governo è proprio la figlia di Boschi.
Le richieste per il cda
Ieri Rossi — che ha già inviato alcune memorie al Csm — ha cominciato a preparare una nuova memoria per respingere ogni accusa, smentendo nuovamente di aver avuto rapporti personali con i Boschi. Intanto ha chiuso i primi due fascicoli su Etruria e nelle prossime ore depositerà la richiesta di rinvio a giudizio per i vecchi amministratori che si occuparono dell’operazione «Palazzo della Fonte» e per l’evasione fiscale effettuata attraverso la società «Methorios». E va avanti il lavoro per esaminare le denunce degli obbligazionisti e hanno perso i soldi dopo il decreto del governo.