Repubblica 20.1.16
Il Vangelo del conflitto
Bergoglio lo
ha scritto trent’anni fa e ora lo ha rivisto: un testo che riflette sul
rapporto tra fede e cultura, tra paura e misericordia. Integrando
concetti cristiani e laici
Offre una visione nuova delle relazioni tra “credo” e “mondo”. Arricchendo entrambi
Una caratteristica dei gesuiti è il tentativo di saldare tradizione e rinnovamento
di Alberto Asor Rosa
Nelle
settimane passate è apparso in Italia un testo di Papa Bergoglio, che a
me sembra di grande importanza. Si tratta dell’intervento da lui
pronunciato a un Congresso internazionale di teologia (da lui stesso
voluto e preparato), svoltosi a San Miguel in Argentina dal 2 al 6
settembre 1985, sul tema “Evangelizzazione della cultura e
inculturazione del Vangelo”.
L’intervento, nella forma pubblicata
da Civiltà cattolica, porta il titolo “Fede in Cristo e Umanesimo”.
Ritengo però che il suo vero tema sia più esemplarmente testimoniato da
quello del convegno.
Andrò per accenni, limitandomi a segnalare
quello che, dal mio punto di vista, spicca per novità e intelligenza del
discorso. In effetti, trovo, per cominciare dagli inizi, che ipotizzare
questa doppia missione – che è anche un doppio movimento di andata e
ritorno per ognuno dei due elementi che lo compongono, e cioè:
“evangelizzazione della cultura” e “inculturazione del Vangelo”–
significa offrire una visione nuova dei rapporti tra la “fede cristiana”
e “il mondo”. Bergoglio, infatti, non dice: “questa” o “quella
cultura”. Dice: “cultura”. A chiarimento della tesi scrive: «Stiamo
rivendicando all’incontro tra fede e cultura, nel suo duplice aspetto di
evangelizzazione della cultura e di inculturazione del Vangelo, “un
momento sapienziale”, essenzialmente mediatore, che è garanzia sia
dell’origine (movimento di creazione) sia della sua pienezza e fine
(movimento di rivelazione)». «Un momento sapienziale, essenzialmente
mediatore…»: se la traduzione dallo spagnolo in italiano non ha
deformato qualche senso, questo vuol dire che tra “fede” e “cultura” si
può stabilire un confronto, i cui momenti di reciprocità sono destinati a
influenzare sia l’una sia l’altra parte, producendo, attraverso la
“mediazione”, un accrescimento di sapere e di conoscenza per tutti.
Bergoglio
chiama in causa una parola-concetto tipicamente laica o quanto meno
mondana: “mediatore”, mediazione. Tale impressione però si accentua, in
misura significativa, nella lettura di un brano seguente, che qui
riporto per intero, perché lo trovo denso di parole-concetti
sorprendenti: «La base di questo sforzo è sapere che nel compito di
evangelizzare le culture e di inculturare il Vangelo è necessaria una
santità che non teme il conflitto ed è capace di costanza e pazienza.
Innanzi tutto, la santità implica che non si abbia paura del conflitto:
implica parresia, come dice San Paolo. Affrontare il conflitto non per
restarvi impigliati, ma per superarlo senza eluderlo. E questo coraggio
ha un enorme nemico: la paura. Paura che, nei confronti degli estremismi
di un segno o di un altro, può condurci al peggiore estremismo che si
possa toccare: l’“estremismo di centro”».
In questo caso, la
parola-concetto centrale è: “conflitto”. Si deve ammettere che siamo di
fronte a una acquisizione inedita nel campo della cultura
cristiano-cattolica. Il termine infatti ricorre nel pensiero e nelle
problematiche del pensiero dialettico e sociologico europeo e americano
degli ultimi due secoli: da Hegel a Marx, e poi Simmel, von Wiese,
Dahrendorf… Nessun equivalente, almeno della stessa portata, nel
pensiero cristiano-cattolico dello stesso periodo, e si capisce perché:
la predicazione evangelica sembrerebbe escludere una virata di tale
natura. Ma la sorpresa è destinata persino ad aumentare se si procede
nell’analisi del ragionamento. «Affrontare il conflitto », scrive
Bergoglio, «per superarlo », ma «senza eluderlo»; si misura con «un
enorme nemico: la paura». Paura di che? Paura dei possibili estremismi,
che dal conflitto possono scaturire. Ma tale paura, se incontrollata, è
destinata a condurre «al peggiore estremismo che si possa toccare:
l’“estremismo di centro”, che vanifica qualsiasi messaggio».
L’“estremismo di centro”! In un paese come l’Italia, spesso arrivato a
catastrofiche conclusioni proprio a causa di un sistematico e
prevaricante “estremismo di centro”, tale messaggio dovrebbe risultare
più comprensibile che altrove. Anche il riferimento alla
parresia s’inserisce in questo contesto: solo chi parla alto e libero può vincere la paura.
Quali
considerazioni si possono fare su posizioni, di questa natura? Su
Bergoglio sono stati scritti molti articoli (bellissimi quelli di
Eugenio Scalfari). Pochi, però, si sono soffermati sulla scaturigine
storica delle sue prese di posizione, che è inequivocabilmente
gesuitica. I gesuiti, nel corso della loro lunga storia, ne hanno
combinate di tutti i colori, nella difesa perinde ac cadaver della
Chiesa di Roma. E però… Molti anni or sono ho studiato a lungo la
cultura gesuitica del Seicento in Italia. Mi risultò chiaro allora che
carattere perspicuo della cultura gesuitica, nei momenti migliori, è
sempre stato il tentativo «di operare la saldatura fra cultura laica e
cultura ecclesiastica, fra tradizione e rinnovamento… »; e questo su
base mondiale.
Se le cose stanno così, la domanda
(provvisoriamente) finale di questa ricostruzione è: quale rapporto
esiste fra la centralità della parola-concetto “conflitto” e la
centralità della parola-concetto “misericordia”, alla quale Papa
Francesco ha voluto dedicare il Giubileo? La risposta più semplice è:
nessuno. “Misericordia” è parola evangelica, pochissimo usata in ambito
laico, come pochissimo “conflitto” in ambito ecclesiale. Sono passati
trent’anni dalla prima formulazione, padre Jorge Mario Bergoglio,
divenuto Papa Francesco, ha ripensato radicalmente le sue posizioni,
rientrando nell’ambito più tradizionale della cultura ecclesiastica.
Come tutte le soluzioni troppo semplici, anche questa però si presta a
un’obiezione di fondo. Una noticina al testo pubblicato da Civiltà
cattolica informa infatti che il testo è stato ripresentato «in forma
rivista dal Santo Padre». Questo ci rende lecito pensare che nel
pensiero di Papa Francesco “conflitto” e “misericordia” possano stare
insieme. Cioè: il prodotto di una cultura laica può stare insieme con il
prodotto tipico di una cultura evangelico- cristiana. Non può esserci
“misericordia” se non c’è stato “conflitto”; il “conflitto” è buono,
anzi, addirittura indispensabile, se è necessario per superare la paura,
e superare la paura è necessario per arrivare alla “misericordia”.
Sarebbe troppo pretendere che Bergoglio, divenuto Pontefice, dopo averci
additato come il conflitto sia necessario per attivare la misericordia,
ci additi come la misericordia sia necessaria per attivare il
conflitto, motivo quest’ultimo inesauribile – e positivo, quando c’è –
delle azioni umane. Però la connessione possibile – il prima e il dopo,
insomma, che però è anche o può essere anche, un dopo e un prima –
almeno a noi laici e non credenti, risulta – credo – ben chiara.