Repubblica 19.1.16
Ma quelle cifre sui patrimoni sono molto discutibili
di Ferdinando Giugliano
Tra
i Paperoni in testa alla classifica, i giganti del web, ma anche due
italiani Una delle principali cause delle disuguaglianze è l’evasione
fiscale legalizzata
MISURARE LE diseguaglianze delle ricchezze è
un esercizio tanto affascinante quanto difficile. Nella maggior parte
dei Paesi del mondo non esistono infatti delle anagrafi patrimoniali, da
cui gli economisti possano attingere per calcolare questo tipo di
disparità. I dati sul reddito sono, invece, ben più semplici da trovare:
basta chiedere ai governi, che praticamente ovunque tassano i cittadini
sulla base di quanto guadagnano ogni anno.
Questo problema
metodologico ci deve rendere cauti quando ci avviciniamo a qualsiasi
studio che sostenga di aver registrato un nuovo record negli squilibri
patrimoniali tra l’ormai famigerato “1 per cento” e tutti gli altri. Dal
bestseller di Thomas Piketty, Il Capitale nel XXI secolo, che più di
ogni altro lavoro ha colto lo Zeitgeist egualitario della nostra epoca,
allo studio di Oxfam di questa settimana, non vi è ricerca che possa
dirsi immune da una sostanziale incertezza statistica.
L’ultimo
invito alla prudenza arriva da un lavoro di Luigi Guiso, professore di
economia all’Istituto Einaudi di Roma, e di tre suoi collaboratori,
presentato solo qualche settimana fa agli incontri di San Francisco
della American Economic Association, la più prestigiosa società
scientifica della disciplina.
Lo studio utilizza dati provenienti
dalla Norvegia, uno dei pochi Paesi del mondo a raccogliere informazioni
sia sul patrimonio sia sul reddito dei suoi cittadini. Questa
peculiarità permette a Guiso e colleghi di confrontare l’andamento
effettivo della diseguaglianza dei patrimoni con il trend che si ottiene
provando a ricostruire la ricchezza a partire dai dati sul reddito, una
strategia alternativa indiretta utilizzata in passato sia da Piketty,
sia da suoi collaboratori come Emmanuel Saez e Gabriel Zucman.
Lo
studio, di prossima pubblicazione per il National Bureau of Economic
Research, mostra come partire dai dati sui redditi possa portare a
sovrastimare le disparità. Per esempio, nel caso norvegese, si finisce
per attribuire all’1 per cento o al 5 per cento più ricco una quota del
patrimonio nazionale più alta di quella che realmente possiede. Altre
misure, per esempio quella relativa alla porzione di ricchezza dell’1
per mille più facoltoso, vengono invece sottostimate.
Non esistono
alternative perfette: le indagini campionarie, come quella condotta in
Gran Bretagna dall’Ufficio nazionale di statistica, tendono di solito a
minimizzare il gap. La ragione è semplice: i più ricchi tendono spesso a
mentire sulla reale entità del loro patrimonio, mentre i poveri sono
generalmente più onesti nel compilare il questionario.
Lo
scetticismo è pertanto d’obbligo, soprattutto quando si ha a che fare
con studi transnazionali come quello di Oxfam o che coprono lunghi
periodi storici come quello di Piketty. La diseguaglianza è un tema
troppo importante per essere ignorato, ma anche per essere discusso
tralasciando le difficoltà che esistono nel misurarla.