Repubblica 19.1.16
L’amaca
di Michele Serra
L’assassinio
della ragazza Lidia Macchi, uccisa trent’anni fa, secondo gli
inquirenti, da un suo religiosissimo amico ossessionato dal sesso, oggi
sarebbe definito femminicidio. Lo è nel senso più profondo: la femmina
soppressa (dal suo stesso violentatore, sempre secondo l’inchiesta)
perché la sua “purezza” è sfumata e con essa l’innocenza del mondo. Il
mito della madre vergine (presente in molti culti religiosi) è l’estremo
tentativo culturale di “salvare” la femmina dalla impurità alla quale
la copula e il parto la condannano. È dunque la vita stessa a dannare la
femmina: per questo il femminicida la preferisce morta, oppure relegata
in quella pre-morte che è la schiavitù. Oggi è soprattutto l’Islam
radicale a incarnare il timor panico della carne e del sesso. Lo ha
spiegato benissimo, pochi giorni fa su questo giornale, lo scrittore
algerino Kamel Daoud: “la donna è ritenuta colpevole di un crimine
orribile: la vita”. Ma faremmo molto male a dimenticare quante nefaste
tracce di misoginia sono ancora presenti nel nostro mondo. Sono tracce e
non più regole, retaggi e non più cultura di massa condivisa. Ma ci
sono. Dimenticare da quali spelonche anche noi proveniamo non ci aiuta a
batterci meglio, e più lucidamente, contro l’obbrobrio islamista.