martedì 19 gennaio 2016

Repubblica 19.1.16
“Anna Frank è di tutti” Sfida sui diritti del Diario
In Francia è stato pubblicato gratis online. In Italia è uscita un’altra versione. Ma la Fondazione rivendica tuttora il copyright
di Stefania Parmeggiani

I bibliotecari d’oltralpe sostengono la scelta di portarlo sul web: “È patrimonio di tutti”
Newton Compton ha stampato un testo precedente ai tagli del padre Otto
Il Diario di Anna Frank ha venduto oltre 30 milioni di copie nel mondo

Hitler sì. Mussolini pure. Anna Frank no. Il suo Diario non è libero dai diritti d’autore anche se lei è morta di tifo nel campo di concentramento di Bergen-Belsen lo stesso anno in cui il Fürher si toglieva la vita e Mussolini veniva giustiziato: il 1945, settant’anni fa. Quello che lei ha scritto, con o senza i tagli del padre Otto e l’editing di Myriam Pressler, non ha le stesse possibilità di circolare in tutti i paesi europei. Non ce l’ha perché si è impantanato nella selva delle leggi sul diritto d’autore e in una insidiosa battaglia per la proprietà dei diritti. In Francia chi ha pubblicato online la versione originale del
Diario si è visto recapitare una lettera di richiesta danni dell’Anne Frank’s Fonds, la fondazione di Basilea che per legge ne detiene i diritti, ma ha anche incassato la solidarietà dell’associazione dei bibliotecari che ha ribadito come l’opera appartenga alla memoria collettiva. In Italia qualche giorno fa è uscita una versione originaria e integrale del Diario non autorizzata e pubblicata dalla Newton Compton (traduzione di Martina Rinaldi e David Sacerdoti, introduzione di Paolo Di Paolo, euro 4,99). In Inghilterra e in Spagna, dove nessuna edizione fuori copyright è ancora circolata, si è aperto un dibattito sul diritto o meno di pubblicare il Diario.
Tutto questo, secondo la Fondazione, non fa bene al diario, ma lo espone al rischio di contraffazioni e di attacchi da parte dei negazionisti. Per questo ribadisce che «le diverse versioni del diario di Anna Frank rimarranno protette per molti anni ancora dopo il 2015». Lo dice dopo avere dichiarato il padre Otto come co-autore dell’opera. Fino a poco tempo fa Otto era stato considerato un semplice curatore: era intervenuto sui manoscritti della figlia, decidendo quali pagine rendere pubbliche e quali conservare come esclusive memorie di famiglia e aveva rimesso insieme le parti di un puzzle difficile da comporre. Infatti, nel rifugio segreto in cui la ragazzina si era nascosta per fuggire le persecuzioni non c’era carta a sufficienza. Finite le pagine, Anna tornava indietro, cercava spazio dove ancora c’era. Anche se Otto non ha scritto nulla di suo pugno, la Fondazione ha ottenuto che venisse considerato co-autore. E si è così assicurata il controllo sull’opera per molti anni ancora. Otto è morto nel 1980: fino al 2050 sono vietate nella maggioranza dei paesi europei riproduzioni non autorizzate.
E se qualcuno decidesse di pubblicare i tre quaderni così come Anna Frank li aveva scritti e non la versione del Diario emendata e pubblicata per la prima volta nel 1947? Secondo la Fondazione il libro continuerebbe ad essere protetto da copyright perché in caso di opera postuma è necessario contare 50 anni dalla prima pubblicazione. I diari “nudi e crudi” sono apparsi per la prima volta in una edizione critica del 1986. Fino al 2032 solo edizioni autorizzate, scrive la Fondazione sul suo sito. Non tutti la pensano allo stesso modo. Si chiedono come possa l’edizione del 1986, in Italia uscita qualche anno dopo per Einaudi, avere lo status di “prima opera” e sostengono che non tutti i materiali originali sarebbero comunque stati pubblicati.
L’accademico di Nantes Olivier Ertzscheid e la deputata francese Isabelle Attard sono convinti che il Diario debba essere, al di là delle valutazioni legali, di pubblico dominio e il primo gennaio l’hanno pubblicato sui loro siti. Un’azione di “disobbedienza civile”, applaudita da molti studiosi e osservata con sospetto da altri: il copyright non è solo una questione economica (il Diario è un longseller che ha venduto più di 30 milioni di copie), ma anche di controllo sulla qualità e sul rispetto storico delle edizioni che circolano.
A Ertzscheid è arrivata una lettera della Fondazione in cui gli si intimava di rimuovere il testo e di pagare, per ogni giorno che era rimasto online, 1000 euro di danni. Lui non l’ha fatto e da allora il “suo” testo è stato visto da più di 50mila persone. «Nonostante i risultati legali ottenuti dalla Fondazione per rallentare il più possibile questo momento possiamo finalmente dire che il Diario ha ottenuto ciò che merita, uno spazio pubblico», ha scritto Isabelle Attard sul suo sito. Concordano i bibliotecari francesi che in un comunicato stampa hanno protestato contro le «recenti interpretazioni volte a limitare la diffusione del diario di Anna Frank».
La guerra dei diritti ha però avuto effetto: in Olanda l’Istituto che gestisce la casa museo di Anna Frank, e che è in lite con la Fondazione dagli anni Novanta, non ha potuto pubblicare online il Diario. In Inghilterra e in Spagna nessun editore, a eccezione di quelli che detengono il copyright, hanno pubblicato l’opera. In Italia sì. La Newton Compton spiega di averlo fatto «perché la versione pubblicata è quella precedente agli interventi di Otto e perché da noi la legge è chiara: i diritti decadono a 70 anni dalla morte dell’autore». L’Einaudi tace, fa sapere di non avere alcuna voglia di fare polemica. Non aggiunge la sua voce alle tante che in questi giorni stanno litigando sull’opera simbolo della Shoah.