Repubblica 18.1.16
Università, l’anno della svolta tornano a crescere le matricole
Lo
studio riguarda 70 atenei su 77: in 45 aumenta il numero degli iscritti
al primo anno. E in tutta Italia ci sono almeno 9.500 studenti in più
di Corrado Zunino
ROMA.
Il 2015-2016 si annuncia per l’università italiana come l’anno
(accademico) della svolta. Dopo dieci stagioni di immatricolazioni in
discesa (-20 per cento), i dati nelle segreterie dei singoli atenei
indicano un cambio di direzione: il ritorno alla crescita degli iscritti
al primo anno. I numeri non sono definitivi, ma sono significativi.
Repubblica
– per confrontare i dati ufficiali del ministero dell’Istruzione ancora
in ritardo – ha chiesto a 77 singoli atenei (statali o riconosciuti) i
numeri aggiornati sulle immatricolazioni in corso: 70 università hanno
risposto garantendo la comparazione con la stagione precedente. Il
risultato è che 45 atenei risultano con le matricole in crescita, 23
sono in calo e 2 hanno gli stessi ”nuovi studenti” del 2014-2015. Il
totale degli iscritti al primo anno dei settanta atenei cresce di 9.728
studenti, il 3,2 per cento. Non è poca cosa dopo dieci anni in perdita,
se si eccettua l’estemporaneo recupero dello 0,7 per cento del
2013-2014.
Il ritorno delle matricole è omogeneo ed esce dal Nord
del paese, il quadrilatero delle università d’eccellenza compreso tra
Torino, Milano, Venezia e Bologna. Quest’anno il Nord accelera, ma tutti
i grandi atenei invertono la rotta, quindi recuperano diversi
medio-piccoli e il Sud (che pure ancora nel 2014-2015 perdeva 45.000
iscritti nei cinque anni) quest’anno mostra segni di ripresa.
Ecco.
Il polo di Milano in questa stagione è tutto in positivo. La Statale
+0,8 per cento, la Bicocca +0,9 per cento, la Cattolica +3 per cento. E
così il Politecnico e le private Bocconi e San Raffaele. Lo Iulm di
Milano, libera università di lingue e comunicazione, prende duecento
matricole in più che rappresentano oltre il 12 per cento. Cresce di poco
Bologna, la più antica università del mondo occidentale. Crescono da
boom Parma (che ha il miglior recupero assoluto, il 22,5 per cento, dopo
una lunga stagione depressiva) e Modena-Reggio. Ha performance da
ateneo storico la piccola Piemonte orientale, che ha sede a Vercelli.
Proseguono in una traiettoria a crescere mai interrotta la Ca’ Foscari
di Venezia e Torino e va su dell’8 per cento Padova, anno di fondazione
1222.
L’enorme Sapienza di Roma torna a salire dopo un lungo
periodo di scarsa attrattività: la crisi economica e il rettorato Frati.
Ora registra 18.034 iscritti, +1,2 per cento, ma sottrae studenti a Tor
Vergata e Roma Tre. Vanno bene Perugia, Macerata, Camerino.
Il
ritorno più atteso, e che fa pensare che questi dati in divenire abbiano
una sostanza, è la crescita delle università del Sud. Accade per motivi
generali e contingenti, ma è netta. Il Politecnico di Bari mette a
risultato la buona fama che si è costruito nel tempo (19,2 per cento) e
colpisce il segno più (11,4 per cento) di Catania, in una difficoltà a
tratti drammatica nelle precedenti sei stagioni. Crescono Salerno, il
Molise, Cagliari. Di poco (116 studenti) anche la Federico II di Napoli.
Va
detto che le peggiori performance, esclusa Venezia Iuav specializzata
in architettura e design, sono tutte nel Meridione. L’Aquila, al secondo
anno a rette piene, perde altre 705 matricole su meno di quattromila,
Foggia produce brevetti di successo sull’alimentare ma arretra, Palermo
festeggia i duecentodieci anni di vita perdendo studenti. Ivano Dionigi,
ex rettore di Bologna, oggi alla guida del consorzio statistico Alma
Laurea, dice: «La ripresina conforta. Teniamo conto, quando parliamo di
pochi universitari nel paese, che nel 1964 l’Italia faceva un milione di
bambini, oggi mezzo milione. Il dato più importante viene dal Sud, che
certo non può continuare a spogliarsi dei migliori. Insisterò nel
proporre il triennio gratuito, in Germania è la norma». Il rettore di
Parma, Loris Borghi, spiega così l’exploit in casa: « Ho tolto il numero
chiuso e il test d’accesso a 14 corsi di laurea, ho ammodernato gli
altri e ho abbassato le tasse per i meno abbienti alzando quelle per i
redditi alti. Sa, negli ultimi cinque anni avevamo perso il 36 per
cento».