Repubblica 18.1.16
Orhan Pamuk
“Arresti e censura in Turchia non c’è una vera democrazia”
Il
Nobel dopo le ultime retate: “Abbiamo elezioni, ma non libertà di
parola. Fermare accademici per una petizione è inaccettabile”
Le
porte dei docenti firmatari dell’appello alla pace con i curdi sono
state marchiate con croci rosse. Sotto, la scritta: “Sei un nemico della
nazione: vattene”
di Marco Ansaldo
Nel suo
studio a Istanbul con il tavolo pieno di penne e carte, e davanti agli
occhi una grande vetrata sullo Stretto sul Bosforo, Orhan Pamuk è
furibondo. «L’arresto di professori universitari che hanno firmato una
petizione per la pace con i curdi sta gravemente danneggiando la
democrazia già limitata della Turchia. Siglare e scrivere appelli sono
semplicemente atti elementari di ogni democrazia!». Il premio Nobel per
la Letteratura si ferma un attimo, poi aggiunge: «Non posso pensare a
una democrazia nella quale ai docenti non sia permesso di esprimere le
loro opinioni. Andarli a prendere in casa, o metterli sotto custodia o
arrestarli solo perché hanno firmato una petizione su cui il governo è
in disaccordo, tutto ciò è inaccettabile».
Ma perché accade
questo, secondo lei? «In Turchia abbiamo solo una democrazia elettorale,
ma non una democrazia istituzionale che mostri rispetto per la libertà
di espressione, la divisione dei poteri e l’autonomia delle università.
Un Paese nel quale i professori sono forzati a ripetere le decisioni del
governo non è una democrazia piena persino se ci sono state elezioni
libere».
Parole durissime, e Pamuk è un fiume in piena. Presto il
più importante romanziere della Turchia sarà in Germania. Il cantore di
una città che oggi appare ferita per l’attentato della settimana scorsa a
Piazza Sultanahmet e per l’arresto qualche giorno dopo di decine di
accademici favorevoli alla pace nella regione curda, si prepara ad
andare nel Paese europeo sotto shock per la strage dei suoi turisti. A
febbraio Pamuk presenterà infatti il suo ultimo romanzo a Stoccarda, al
Forum turco-tedesco. Un incontro programmato che che però ora assume un
sapore diverso dal semplice incontro di letteratura, e diventa un
appuntamento importante fra la Germania e la Turchia, sull’onda
dell’imbarazzo per i 10 viaggiatori saltati in aria con il kamikaze del
Califfato nero nel luogo simbolo dell’Impero Ottomano e del turismo in
Turchia. Così il grande autore di “Istanbul”, l’autobiografia per cui
ottenne il massimo riconoscimento internazionale, si troverà
inevitabilmente ad affrontare le molte domande dei tedeschi
sull’argomento. A Roma il mese scorso era venuto per parlare di “La
stranezza che ho nella testa” (Einaudi), il libro che in Italia ci
guarda da tutte le vetrine con la sua copertina colorata (il nome dei
colori è un segno distintivo di tanti suoi libri), e si era detto «molto
dispiaciuto per quello che sta accadendo in Turchia».
Dice: «Sono
i reporter a essere sotto tiro, così come noi autori di libri lo siamo
stati una decina di anni fa». Il suo pensiero va subito «al mio amico
Can Dundar», il direttore di Cumhuriyet, storico quotidiano indipendente
che guarda all’area repubblicana e del centro sinistra, che ha inviato
al nostro quotidiano una lettera dal carcere pubblicata giovedì. Dundar
si trova nella prigione di Silivri, a Istanbul, assieme al capo della
redazione di Ankara, per aver pubblicato nei mesi scorsi uno scoop sui
camion pieni di armi diretti verso il confine con la Siria protetti dai
servizi segreti turchi. Pamuk è rattristato da questa vicenda e
preoccupato per «i giornalisti che sono del mirino del governo e vengono
minacciati, picchiati e arrestati».
L’attualità politica continua
a tenere la Turchia sotto i riflettori. Lo scrittore premiato con il
Nobel esattamente 10 anni fa, originario di una famiglia della buona
borghesia di Istanbul, è un europeista convinto e ama il proprio Paese.
Gli dispiace perciò, parlando dei profughi che l’attraversano per
fuggire dalle zone di guerra, «che l’Europa veda la Turchia solo come un
filtro agli indesiderabili».