sabato 16 gennaio 2016

Repubblica 16.1.16
Deficit, banche, Ilva nella sfida Italia-Ue due idee di Europa
Per una volta la diplomazia tra Roma e Bruxelles non ha funzionato e i toni si sono accesi. Ma Renzi e Juncker saranno costretti a trovare un accordo
di Andrea Bonanni

BRUXELLES. L’«amarezza» di Jean-Claude Juncker e le sue critiche pubbliche a Matteo Renzi segnano il punto più basso mai raggiunto nella storia dei rapporti formali tra Roma e Bruxelles, che pure hanno raramente registrato picchi elevati. Neppure ai tempi di Berlusconi lo scontro, nella sostanza assai più duro di quello attuale, aveva assunto toni così plateali. La lista delle questioni in sospeso tra il governo italiano e la Commissione è in effetti lunga. Sul piano della politica economica c’è la mancata approvazione della nostra legge di bilancio, su cui Bruxelles si pronuncerà solo a primavera. La Commissione ritiene che l’Italia abbia cercato di spingere i margini di flessibilità sul deficit oltre il limite ragionevole per un Paese indebitato come il nostro. Nel merito, inoltre, non ha apprezzato il taglio dell’Imu, contrario alle raccomandazioni comunitarie.
C’è poi la questione della “bad bank”, il sistema di garanzie pubbliche offerte a chi acquisterà i crediti in sofferenza delle banche italiane. Bruxelles le considera un aiuto di Stato, e vuole vietarle. L’Italia ribatte che, in passato, tutti i governi europei hanno pagato le ricapitalizzazioni bancarie con valanghe di soldi pubblici senza che la Commissione si opponesse. Anche sulla procedura aperta dall’antitrust europeo per i finanziamenti alla ristrutturazione dell’Ilva di Taranto, la reazione italiana è stata di indignata sorpresa. Ci sentiamo vittime di un trattamento discriminatorio, come ha rivelato Renzi chiedendo perché la Commissione non abbia bloccato il raddoppio del gasdotto russo-tedesco, Nord Stream, dopo aver bocciato South Stream, che avrebbe portato il gas russo in Italia.
In campo extra-economico, è la questione dei profughi ad alimentare i malumori tra Roma e Bruxelles. L’Italia si è sentita offesa per la procedura aperta dalla Commissione sulla mancata registrazione degli immigrati irregolari, soprattutto perché, nel frattempo, Juncker non è riuscito a far decollare il promesso piano per il ricollocamento dei rifugiati ospitati nel nostro Paese. Risultato: il governo italiano sta bloccando la decisione di versare tre miliardi per aiutare i profughi siriani in Turchia. Un veto che Juncker ha definito «incomprensibile. Di carne al fuoco dunque ce n’è parecchia. Ma in passato i contenziosi aperti tra l’Italia e l’Europa sono stati spesso anche più ampi e più profondi. La differenza, questa volta, è che il governo Renzi, invece di cercare di risolvere le divergenze per via diplomatica, come è d’uso nella Ue, ha fatto di ciascuno di questi problemi un caso politico. Alzando il livello dello scontro e trasportando la normale dialettica governi-Commissione sul piano di un confronto tra due pretese idee di Europa: quella italiana e quella tedesca. Può sembrare paradossale, ma la Commissione, in questo suo primo anno di vita, si è trovata più spesso a condividere la visione italiana dell’Europa che quella tedesca. È stato così quando Juncker è riuscito a ritagliare margini di flessibilità sulle politiche di bilancio, contro il volere di Berlino. È stato ancora così quando ha cercato di europeizzare la questione dei migranti, contro la posizione della Francia e, in un primo tempo, anche della Germania. È ancora così quando la Commissione spinge, come sta facendo, per varare la garanzia europea sulle banche, contrastata dai tedeschi e dagli olandesi. Sono stati, e sono, contrasti duri, profondi, essenziali. Ma che non hanno mai portato i governi della Germania o della Francia a criticare pubblicamente Bruxelles con la durezza usata da Renzi.
È proprio questo che ha determinato, ieri, la reazione del presidente della Commissione. Più che un dissenso sui contenuti, quella tra Renzi e Juncker è una divergenza di prospettive. Renzi ha trattato la Commissione come un organo burocratico al servizio della Merkel. Juncker si è sentito tradito e ha espresso la sua «amarezza» in termini politici, gettando anche lui alle ortiche gli scrupoli protocollari. Sullo sfondo, il convitato di pietra ha le fattezze della cancelliera tedesca, a sua volta molto più europeista della maggioranza politica che l’ha espressa. Ma questa guerra di due potenziali alleati, sul baratro di un’Europa che rischia di essere inghiottita dallo tsunami del populismo dilagante, non ha alcun senso. Renzi e Juncker possono bisticciare quanto vogliono. Ma se, come dicono, vogliono salvare quel che resta del sogno europeo, prima o poi sono condannati ad intendersi.