Repubblica 14.1.16
Perché è scandaloso che un ebreo nasconda la kippah
La tradizione ebraica vuole che ci si copra il capo in segno di rispetto verso Dio
L’appello in Francia a rinunciare al copricapo è segno dell’antisemitismo crescente in Europa
di Siegmund Ginzberg
KIPPAH
o non kippah? La diatriba tra gli esponenti dell’ebraismo francese che
invitano a non indossare per strada la kippah «per non essere
riconosciuti come ebrei», e quelli che lo bollano come incitamento alla
viltà e al «disfattismo », è il segno allarmante degli effetti
dell’antisemitismo che cresce in Europa. Solo immaginare di dover
rinunciare a un simbolo religioso per non essere aggrediti è terribile.
Ma è anche qualcosa di surreale. Se non altro perché tutta la storia
dell’intolleranza in Europa è sempre passata attraverso l’obbligo per
gli ebrei di distinguersi dagli altri, non la loro libertà di indossare o
non indossare quel che gli pare: che si tratti di un particolare
copricapo o di altro segno distintivo come l’infame stella gialla
imposta dai nazisti.
La kippah, dalla parola ebraica che significa
calotta (e che forse ha la stessa etimologia del nostro “cappello”),
chapeo nel castigliano antico dei sefarditi,
yarmulke in yiddish,
che si potrebbe dire “papalina” in italiano (perché identico al
copricapo indossato dal Papa e dai cardinali), non è affatto un obbligo
religioso prescritto dalla Bibbia. Neanche gli ultraortodossi sostengono
che lo sia. Quando a metà Anni ’80 Ronald Reagan ricevette alla Casa
bianca i lubavich (quelli che girano per New York con riccioli,
palandrana e cappellone nero) gli chiese quale fosse il significato
religioso della kippah. «Signor Presidente, per noi è un segno di
rispetto », gli rispose rabbi Shemtov. Il Talmud si limita a
prescrivere: «Copriti la testa per mostrare che hai timore del Cielo».
Le leggende di Rabbi Nachman raccontano che a iniziare la pratica di
fargli coprire la testa fu sua mamma, convinta che solo il timor di Dio
potesse salvarlo dalla perdizione. Nella forma attuale risale al
Settecento. Fino a qualche secolo fa non era obbligatorio nemmeno
durante i riti religiosi. Nell’Europa dell’Est erano più in voga i
larghi cappelli orlati di pelliccia, che ancora vengono sfoggiati dagli
ortodossi per i giorni di festa. È segno di rispetto verso gli ebrei
indossare un cappello — qualsiasi cappello, a rigore anche un fazzoletto
— durante le loro cerimonie, così come per i cristiani lo è togliersi
il cappello in chiesa. In Sinagoga o a una Sèder di Pèsach è normale
prestare la kippah a un ospite non ebreo.
Solo più di recente si
sono moltiplicate le simbologie identitarie. In Israele, ad esempio,
indossare una kippah a uncinetto identifica come sionisti o
conservatori, in pelle come ortodossi moderni, nera come apprendisti
rabbini o chassidim, bianca identifica i seguaci di Rabbi Nachman, in
seta i riformatori, quella ricamata i sefarditi e i riformisti.
Una
funzione completamente diversa da quella religiosa o politica è l’uso
identitario, quello per cui chi indossa la kippah si identifica come
ebreo, sia che lo faccia in sinagoga, sia lo che lo faccia per strada.
Niente di male, ci sono situazioni in cui è sacrosanto rivendicare la
propria identità, specie per i perseguitati (io sono nato poco dopo
l’Olocausto e questa è la ragione per cui mio padre volle assolutamente
che fossi circonciso, anche se lui non era né credente né praticante).
Ma altrettanto lecito e fondato in molti secoli di cultura ebraica e di
persecuzioni è il non ostentare eccessivamente la propria ebraicità, il
non gridarla inutilmente di fronte a chi vuole male agli ebrei. Nella
Bibbia gli ebrei si fanno massacrare pur di non rinnegare il proprio
Dio, non inchinarsi agli dei degli altri. I fratelli Maccabei si fanno
ammazzare l’uno in modo più atroce dell’altro pur di non consumare la
carne di maiale che gli viene imposta dal satrapo ellenistico Antioco.
Ma nulla impone, o al contrario proibisce, di esibire in pubblico una
certa foggia di vestire o di coprirsi il capo. Dovrebbe essere una
questione di libertà, condizionabile solo da esigenze di sicurezza.
Per
quanto riguarda la Francia bisogna ricordare anche che la discussa
legge del 2004 proibisce di indossare pubblicamente nelle scuole il velo
islamico, i kippot (plurale di kippah) o altri vistosi simboli
religiosi. Non è dunque uno scandalo religioso suggerire di non
indossarli nemmeno per strada. Ma è scandaloso che nel cuore dell’Europa
gli ebrei debbano pensare di nascondere la propria identità per paura.
Gli
ebrei erano stati obbligati per tutto il Medioevo a indossare
determinati copricapi (il famoso cappello a cono che poi divenne
uniforme dei condannati dell’Inquisizione) o determinati segni che li
distinguessero dagli altri. Il Rinascimento imponeva il cerchio giallo
da indossare sopra le vesti: ne porta testimonianza anche uno dei
profeti del Vecchio Testamento dipinti da Michelangelo nella Cappella
Sistina. Pare che lo avessero inventato in Spagna per distinguere e
separare ebrei e musulmani, le minoranze dal “sangue sporco”. In Francia
e in Germania gli ebrei venivano costretti persino a comprare le pezze
gialle dal governo, una forma di tassa. I nazisti che imponevano la
Stella di Davide gialla non avevano inventato nulla di nuovo.