Repubblica 14.1.16
Il M5s e il problema di diventare grandi
di Piero Ignazi
IL
caso del comune di Quarto, inquinato da voti in odore di camorra,
intacca l’anima pura e immacolata del M5S. I grillini si illudevano di
essere fuori dal mondo, protetti dal virus della corruzione e del
malcostume. Quando si diventa partiti di dimensioni corpose, gli
inquinamenti sono inevitabili. Per la semplice ragione che la società
civile italiana non è uno specchio di virtù. In più, quando si esaltano i
meccanismi di democrazia diretta, senza alcun filtro, allora può
passare qualunque cosa proveniente dagli angoli oscuri della società.
Fino ad ora, la limitata presenza nelle amministrazioni locali del M5S
lo ha tenuto al riparo dal rischio di inquinamenti. Ma ora che vuole
presentarsi alle prossime elezioni locali in tutti i comuni la
probabilità di vedere arrivare personaggi non limpidi sale
esponenzialmente. Diventare grandi in tempi di cinismo, come recitava il
libro di Roberto Cartocci sulle scarse virtù civiche dei giovani
italiani, è una grande fatica. Il M5S non si è attrezzato per far fronte
a questi rischi: ha confidato nel naturale magnetismo di onestà e
alterità irradiato dalle invettive di Beppe Grillo. Adesso questo non
basta più: deve modificare le sue modalità di selezione del personale
politico. È il costo che si paga a fronte di un grande, impetuoso
successo. Poi, altri cambiamenti si impongono, e anch’essi hanno dei
costi.
Come ricordava Ilvo Diamanti su queste colonne, il M5S
assumerà sempre più nettamente i contorni di un partito. È per questo,
per questa sua inevitabile trasformazione, che difficilmente potrà
mantenere la quota di consensi ottenuta finora. Perché sarà obbligato a
strutturarsi più “tradizionalmente”, e perché dovrà definire meglio le
sue proposte politiche. Fin qui il partito di Grillo e Casaleggio non ha
dovuto fare scelte. Ha navigato sull’onda dell’”antipolitica”, e cioè
della insofferenza, indistinta quanto feroce, per tutto quello che non
va bene, e che viene imputato alla classe politica, all’establishment,
agli “altri”. Nemmeno la rivoluzione renziana ha contenuto questa
ondata. Il desiderio di cambiamento palingenetico invocato dai
sostenitori grillini non si accontentava di un passaggio generazionale
che poggia su radici antiche. Anche Matteo Renzi, ai loro occhi,
rappresenta “il vecchio”.
Ma il consenso che è piovuto sul M5S è
amorfo, indistinto, negativo: non dà indicazioni su dove andare. Non che
il M5S sia composto di acchiappanuvole. Al contrario, grazie anche alla
formazione tecnico-scientifica di molti suoi eletti, esprime un tasso
di pragmatismo notevole, in linea con gli obiettivi originari dei
cinquestelle, dall’energia pulita alla libera fruizione della Rete,
dalla difesa dell’ambiente allo sviluppo ecosostenibile. Però,
sbandierando quegli obiettivi, Grillo sarebbe rimasto confinato in una
dimensione da partito verde. Il suo successo l’ha costruito sulla rabbia
antipolitica. Con un consenso trasversale e indifferenziato. Ora che il
partito è cresciuto, deve intervenire su un ampio ventaglio di
questioni e questo, inevitabilmente, creerà sacche di scontenti. In
effetti il successo dei M5S si regge (ancora per poco) su una doppia
ambiguità di fondo: essere un non-partito diverso dagli altri e non
schierarsi né a destra né a sinistra. La prima ambiguità sta arrivando
al redde rationem e il caso di Quarto è solo uno dei segnali che
obbligano i grillini a “istituzionalizzarsi”, cioè ad adottare regole e
modalità di funzionamento interno più formalizzate, e a definire compiti
e funzioni più precisi: in tal modo il partito si irrigidisce e nascono
delle gerarchie. La seconda ambiguità è più sottile ma anch’essa sta
per arrivare a scadenza. Come suggeriscono le biografie degli eletti e
lo stesso programma del partito, il M5S è fortemente sbilanciato a
sinistra (una inclinazione appena compensata da tirate anti-euro e
anti-tasse). La polemica contro tutto il sistema dei partiti nasconde la
vera posta in gioco: la competizione con il Pd per sottrargli quella
parte di sostenitori perplessi che farebbero la differenza in un
ballottaggio. Non per nulla, su alcuni temi — reddito di cittadinanza e
diritti civili — il M5S lo scavalca a sinistra. Urla e sbraita contro i
democratici, e recalcitra ad accordarsi anche quando ci sono evidenti
sintonie; e questo per marcare le distanze. Lo scontro con il Pd è
destinato a spostarsi da una dinamica antipolitica ad una squisitamente
politica. Questo passaggio, che potremmo considerare virtuoso perché
normalizza e stabilizza il sistema, non sarà indolore per il M5S perché
parte dei moderati affluiti sotto le sue insegne se ne andrà. La
necessità di mutare pelle sul piano organizzativo e di adottare un
profilo politico più preciso porta con sé una riduzione della sua base
elettorale. Il M5S è quindi arrivato oggi all’apice delle sue fortune.
Così com’è configurato non può andare oltre.