lunedì 11 gennaio 2016

Repubblica 11.1.16
Gaetano Azzariti, costituzionalista
“Riforme pericolose troppi poteri al premier”
“Se non siamo al regime poco ci manca”
La decisione di Renzi sul referendum è solo un atto dovuto, perché non ha la maggioranza richiesta dei due terzi
intervista di Umberto Rosso

ROMA Nulla da salvare, professore?
«L’abolizione del Cnel?».
Ovvero, al professor Gaetano Azzariti, ordinario di diritto costituzionale alla Sapienza, della grande riforma Renzi in sostanza non piace nulla. E lo dirà oggi pomeriggio, nel suo intervento alla prima riunione nelle sale di Montecitorio del Comitato referendario del No.
«Il ddl Boschi, accoppiato all’Italicum, produce involuzione costituzionale. Dovrebbe proporsi la diffusione del potere, favorire la partecipazione politica dei cittadini, e la centralità del Parlamento, mentre al contrario così ne porta la crisi alle estreme conseguenze. Tutto finirà concentrato nelle mani del governo».
Ci risiamo con l’uomo solo al comando.
«Diciamolo allora in altri termini, e anche più corretti: ipergovernabilità. E’ questo il risultato al quale punta la riforma. Ma la ricetta per risolvere i guai istituzionali del nostro paese non è mica questa. E, in ogni caso, gli esiti andranno in senso opposto alle aspettative renziane ».
In che senso?
«La traversata intrapresa dal governo viaggia orientata sempre dalle due boe, la modifica del Senato e l’Italicum. Grazie al combinato disposto, si pensa di governare senza il consenso del popolo, della rappresentanza popolare».
Messa così, se non siamo al regime poco ci manca…
«L’Italicum provoca una distorsione molto accentuata della rappresentanza politica, con premio di maggioranza e capolista bloccati. Ne verrà fuori una governabilità in realtà fatta di stampelle politiche, mentre quella vera si realizza con un Parlamento che rappresenti sul serio le forze del paese. Se no finisce come con Berlusconi: la più grande maggioranza mai vista e il governo più fragile possibile, che ha lasciato macerie, condizionato via via da Lega, Fini, Alfano».
Ma le modifiche istituzionali
messe in campo da Renzi puntano ad evitarlo.
«Il male istituzionale del nostro paese non si chiama governabilità ma crisi della rappresentanza politica e crisi del Parlamento. La riforma di Renzi rilancia la centralità del Parlamento o la riduce, l’avvilisce?».
Domanda retorica, si direbbe.
«Infatti. Vediamone qualche punto. Sottrazione dei poteri al Senato. Rafforzamento di quelli del governo. Riduzione dei poteri delle Regioni, che ritornano nelle mani dello Stato. Introduzione di ben sette diversi iter di formazione di una legge, invece dell’unico criterio attuale. Maggiore difficoltà nel ricorso agli strumenti di democrazia diretta, come referendum e legge di iniziativa popolare. Non mi pare che in questo modo venga rilanciata la centralità del nostro Parlamento».
Le sue conclusioni?
«Siamo di fronte ad un progetto di verticalizzazione del potere, sostenuto con strumenti che servono a garantirsi questo potere».
Volete un referendum ma lo ha già chiesto lo stesso premier spiegando che se perde va a casa.
«Un atto dovuto. Sa bene di non avere la maggioranza dei due terzi in Parlamento, che si andrà comunque alla consultazione popolare, e gioca d’anticipo. Si è appropriato del referendum, che invece per l’articolo 138 è uno strumento nelle mani di chi dissente».