lunedì 11 gennaio 2016

Repubblica 11.1.16
L’inchiesta.
La mossa sbagliata del padre, il ruolo del fratello, la difesa del ministro. Da Arezzo a Roma il collasso della banca toscana sta facendo tremare i palazzi della politica. Mentre la procura sta per annunciare le sue prime decisioni nei confronti degli ex manager
Tutti i guai dei Boschi nello scandalo dell’Etruria
di Fabio Tonacci

CIÒ CHE per anni è stato il vanto della famiglia Boschi, oggi ne è diventata è la croce. Banca Etruria è stata la spilla dorata portata sul petto da Pier Luigi Boschi, e dai suoi due figli Emanuele e Maria Elena. Questo era il passato prossimo, però. Il presente racconta un’altra storia.
Boschi senior, in quanto ex vicepresidente della Popolare aretina, aspetta la multa che Bankitalia sta preparando per lui e per gli altri componenti dell’ultimo cda per la loro malagestione. Emanuele ha dato le dimissioni dall’ufficio “Servizio controllo dei costi” dell’Etruria ed è andato a cercar fortuna in una società del tesoriere del Pd. Il ministro delle Riforme, infine, teme la bufera politica che può investire il governo se da Arezzo arrivasse dalla procura di Arezzo un avviso di garanzia per suo padre. Ipotesi al momento assai remota, anche se non è del tutto escluso che possa maturare nelle prossime settimane.
LA NOMINA
Che la “partita” in corso sulle sorti di Banca Etruria non sia soltanto una faccenda aretina, ormai lo hanno capito anche i sassi. Gli interessi in gioco si trovano a Roma: Bankitalia, Consob, il governo Renzi, le opposizioni. Una partita che si è fatta complicata e che ruota attorno al destino giudiziario di un solo uomo: Pierluigi Boschi.
Nel 2011 accetta l’invito dell’allora presidente Giuseppe Fornasari a sedere nel cda, perché Fornasari aveva bisogno di uno che rappresentasse il mondo degli agricoltori toscani. L’Etruria in quel momento è florida, ma di lì a poco le cose cambieranno. Nel dicembre del 2012 il pool degli ispettori di Bankitalia entra nella sede centrale di Arezzo. Ne uscirà nove mesi dopo, a settembre, con una relazione choc.
Per Boschi cominciano i guai. A lui gli vengono contestate «violazioni sulla governance », «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni», «carenze nel controllo della gestione del credito», «omesse e inesatte segnalazioni all’organo di vigilanza». Sono quattro censure di tipo amministrativo senza alcun rilievo penale ma che gli costano 144.000 euro di multa.
SALVATO DA UNA PERIZIA
I conti reali della Popolare, scoprono però gli ispettori, non sono quelli raccontati dai manager. Scrive il capo del team di vigilanza Emanuele Gatti: «Al 31 dicembre del 2012 sono emerse posizioni in sofferenza per 1.2 miliardi di euro, incagli per 933,8 milioni e previsioni di perdita per 931 milioni. Le differenze rispetto alle evidenze aziendali sono pari, nell’ordine, a 187,4 milioni, 85,5 milioni e 136,7 milioni». Tradotto: c’è uno scarto di 410 milioni di euro.
La relazione finisce al procuratore Roberto Rossi che apre due inchieste, per false fatture e per ostacolo alla vigilanza sull’operazione di vendita immobiliare “Palazzo delle Fonti”. I rinvii a giudizio per quattro ex manager, tra cui Fornasari, sono quasi pronti. Sul registro degli indagati il nome di Pierluigi Boschi non c’è mai finito, perché una consulenza tecnica richiesta dal pm ha smontato l’ipotesi di reato di falso in bilancio, che — quella sì — avrebbe potuto coinvolgere anche altri membri del cda. Ma secondo il perito Giuseppe Scattone, la vendita di Palazzo delle Fonti era reale e non fittizia.
L’INGRESSO NEL DIRETTTORIO OMBRA
Si arriva al maggio dello scorso anno, quando Banca Etruria su sollecitazione di Palazzo Koch cambia 8 dei 15 consiglieri di amministrazione. Presidente è Lorenzo Rosi, sempre della cordata “cattolica” e moderata di Fornasari, e vicepresidente senza delega diventa Pierluigi Boschi. L’aria per l’istituto aretino è cambiata: Bankitalia per limitare i danni ora spinge perché si fonda al più presto con un partner di “elevato standing”, nonostante niente abbia detto quando il cda dell’Etruria deliberò nel 2013 la vendita di 130 milioni di euro di obbligazioni subordinate ai risparmiatori e alle famiglie. Boschi dunque dal maggio 2014 entra a far parte di quella “commissione informale” cui è stato dato il mandato di gestire l’offerta arrivata dalla Popolare di Vicenza. «Fino al gennaio 2014 le riunioni della commissione sono state verbalizzate e il contenuto è stato illustrato al cda», ammette in una memoria difensiva un alto dirigente. Dopo quella data la commissione informale (composta dal presidente Rosi, i due vice e altri due-tre consiglieri) diventa una sorta di governo ombra dell’Etruria, che decide di rifiutare la proposta di Vicenza. Una scelta che, da un punto di vista economico, ha una sua logica. Ma per gli ispettori di Bankitalia che tornano ad Arezzo tra il dicembre 2014 e il febbraio 2015 c’è qualcosa che non va: «L’assenza di qualsiasi verbalizzazione delle attività svolte da tale ‘commissione’ ha concorso a rendere poco trasparente il processo decisionale ». E a proposito del cda: «Il consesso ha per lo più ratificato scelte e decisioni assunte in altre sedi».
La mancanza di trasparenza è una delle 12 censure di Bankitalia che pendono sulla testa di Boschi senior. Potrebbero assumere un qualche rilievo penale solo se il Tribunale fallimentare decretasse lo stato di insolvenza (l’udienza è prevista entro febbraio) e la procura, sulla base di questo, vi ravvisasse anche gli estremi della bancarotta fraudolenta. Ma non siamo a questo punto. Tra le censure per Boschi (in concorso con altri) «l’assenza di interventi idonei a ristabilire l’equilibrio reddituale del gruppo», il premio sociale da 2,1 milioni ai dipendenti, le anomalie in alcune operazioni immobiliari, «le fideiussioni rilasciate dai garanti prive di efficacia», e la spesa in consulenze salita a 15 milioni di euro nel biennio 2013-2014.
LE TRAVERSIE DEI FIGLI
In quest’ultima censura la famiglia Boschi, suo malgrado, si ricongiunge. Perché a esprimere agli ispettori di Palazzo Koch «riserve sull’opportunità del conferimento di due consulenze, una da 1,1 milioni alla società Bain, e l’altra da 235 mila euro alla Mosaico», è stato l’audit del “Servizio program e cost management”. L’ufficio dove lavora Emanuele Boschi, il figlio di Pier Luigi. È entrato all’Etruria nel 2007, quando ancora il padre non sedeva nel cda. È stato a lungo funzionario addetto al servizio sul contenimento delle spese, uno di quegli uffici che — appunto — doveva lanciare gli allarmi rossi. Ad aprile ha lasciato la Popolare e, scrive il quotidiano Libero, è andato a lavorare nell’ufficio di Luciano Nataloni (ex cda, indagato nel filone di inchiesta sul conflitto di interessi). Poi lo scorso giugno è diventato presidente di Mantellate Nove, società che si occupa di servizi legali fondata da quattro soci tra cui il parlamentare Francesco Bonifazi, tesoriere del Pd e amico di Maria Elena Boschi.
Il ministro delle Riforme, per il decreto “salva banche” del governo Renzi che ha riguardato anche l’Etruria, ha già superato una mozione di sfiducia presentata dal movimento 5 stelle. Ieri sul Corsera è intervenuta per dire che Etruria ha fatto bene a non aggregarsi con la Popolare di Vicenza, dichiarazione subito oggetto di polemiche: «Le consiglio maggiore disinteresse verso la banca di cui suo padre è stato amministratore », ha ribattuto il senatore bersaniano Miguel Gotor. Ma un avviso di garanzia per Boschi senior, sarebbe un ostacolo più alto da scavalcare.