Repubblica 11.1.16
Far finta di essere sani
IL M5S è, da sempre, coinvolto da polemiche. Dall’esterno ma anche dall’interno. D’altronde, è nella sua stessa natura
di Ilvo Diamanti
LA
NATURA di movimento sorto “in polemica” con i partiti “tradizionali”.
E, per questo, fluido, e, al tempo stesso, refrattario
all’istituzionalizzazione. Perché rischierebbe di omologarlo al sistema
che esso contesta. Il prof. Paolo Becchi, in passato (presunto) ideologo
del MoVimento, ha cancellato, nei giorni scorsi, la propria iscrizione
proprio per questo motivo. Perché il M5s avrebbe accantonato la sua
«diversità» fra i ricordi del passato. Senza guida, con Grillo ridotto a
un «ologramma». Peggio: complice del governo. La stampella di Renzi,
con cui si è accordato per l’elezione dei giudici costituzionali. Queste
critiche, in effetti, non hanno scosso il MoVimento. Becchi,
d’altronde, conta poco nel M5s. E la sua uscita polemica appare un
tentativo di trovare un po’ di spazio mediatico, per non finire del
tutto dimenticato. Tuttavia, la questione sollevata, al di là di tutto, è
fondata. Soprattutto, in merito alla “normalizzazione”. Come altri
partiti “normali”, il M5s, infatti, è scosso da tensioni e conflitti
“personali”. A Bologna, Livorno, a Parma… Ma, prima ancora, proprio in
questi giorni, è coinvolto in uno scandalo locale molto insidioso. A
Quarto, dov’è accusato di essere stato “infiltrato” dalla camorra. Una
sorta di “stella nera”, come ha suggerito ieri Roberto Saviano, su
Repubblica.
Insomma il M5s sembra essersi svegliato, bruscamente,
dal “sogno” che lo aveva trainato per molti anni. Eppure, le polemiche,
interne ed esterne non sembrano averlo danneggiato. Fino ad oggi.
Almeno, sul piano dei consensi. I sondaggi, condotti negli ultimi giorni
(e per questo da valutare con molta prudenza, visto che si tratta di un
periodo festivo), segnalano la tenuta del M5s. Non lontano dal Pd.
Penalizzato dagli scandali bancari. Gli stessi sondaggi, peraltro,
suggeriscono che, in caso di ballottaggio, come previsto dalla nuova
legge elettorale, la competizione sarebbe incerta.
Come si spiega
questo apparente paradosso di un M5s diviso, accusato da (ipotetici)
ideologi e (reali) amministratori interni di essere divenuto un partito
“normale” — come tutti gli altri — e, nonostante tutto, ”premiato” dagli
elettori? La ragione più probabile è proprio questa. La fine
dell’equivoco del “non-partito”, portabandiera dell’antipolitica.
Perché, in realtà, il M5s era ed è un partito. Come tutti i soggetti
politici che partecipano alle elezioni, con i propri candidati. Ed
entrano, dunque, in Parlamento. Perché i partiti sono attori della
democrazia rappresentativa. Che agiscono nelle Camere per conto dei
“cittadini”. Certamente, il M5s si serve degli strumenti e dei metodi
della democrazia diretta. Utilizza la Rete, promuove referendum. Ma si
tratta di percorsi seguiti anche da altri soggetti politici. In sequenza
inversa. In quanto utilizzano prima gli strumenti della politica
tradizionale e quindi i new media. La stessa “politica
dell’anti-politica”: è un argomento utilizzato da tutti gli attori
politici. Ormai da anni. Con effetti diversi. Il M5s, sicuramente, con
risultati migliori degli altri. Perché è più credibile. Mentre, gli
altri partiti — storicamente consolidati — si sono deteriorati. Non solo
dal punto di vista dei comportamenti, ma sul piano organizzativo.
Hanno, cioè, perduto i tradizionali rapporti con la società, con il
territorio. Il M5s, invece, è presente sul “terreno” immateriale della
rete. Ma, ormai, anche su quello “materiale”. Visto che, sul piano
elettorale, è distribuito in modo omogeneo in tutto il Paese. Mentre, in
ambito locale, dispone di numerosi amministratori. Gli altri partiti
sono “partiti” liquefatti, più che liquidi. Nella società e sul
territorio.
Così se, come ho sostenuto altre volte, il M5s è una
sorta di mappa della crisi rappresentativa, in questa fase ci permette
di dare un senso diverso al clima d’opinione antipolitico e
antipartitico. Che non esprime un cupio dissolvi. Un desiderio di
distruggere rivolto ai “partiti in quanto tali”. Ma a “questi” partiti.
Al modello che essi interpretano in questa fase. Dis-organizzati, a
bassa intensità ideologica, non dico ideale. Ridotti a leader abili sui
media e agili sui social, piuttosto che a mobilitare le piazze — e le
masse. Il problema del M5s, per questo, è duplice. In primo luogo, la
difficoltà di combinare questi diversi modelli. Di muoversi fra i media —
vecchi e ancor più nuovi — e la piazza. Fra rete e territorio. Perché,
se si considera la base elettorale, evoca davvero un partito di massa,
tanto è trasversale. Però fatica a intrattenere un dialogo costante con
gli elettori, visto che una parte ancora elevata di essi non ha
familiarità con la rete. Inoltre, è difficile elaborare progetti e idee
senza luoghi di riflessione e di elaborazione. A meno che tutto non si
risolva e sia risolto nella figura di Casaleggio.
L’episodio di
infiltrazione malavitosa denunciato a Quarto, per questo, potrebbe
essere valutato in modo ambivalente. Conferma della “normalizzazione”
del M5s. Oppure, al contrario, come conseguenza dell’eccessiva fluidità,
che lo rende contendibile e controllabile dall’esterno. Da soggetti e
organizzazioni di diversa natura. Anche poco sicura e rassicurante.
D’altra
parte, però, il M5s non può rassegnarsi a diventare un partito. Magari
migliore. Perché la “diversità” è nella sua biografia. E la “legalità” è
nella sua scheda genetica. Allora, per citare Giorgio Gaber, occorre
“Far finta di essere sani”. Cioè, di essere diversi. Un non-partito. A
ogni costo. Per questo, nel blog di Beppe Grillo, sono state richieste
ufficialmente le dimissioni di Rosa Capuozzo, sindaco di Quarto. Perché è
a rischio la stessa identità del MoVimento. Protagonista della
contro-democrazia (per citare Pierre Rosanvallon). La democrazia della
sorveglianza. Il M5s, garante della legalità, degli altri e anzitutto
propria, non si può rassegnare a episodi di corruzione. Non solo per
ragioni etiche, ma politiche (ed elettorali). Diverrebbe un partito come
gli altri. Ma molto più debole e precario. Perché ne imiterebbe i vizi,
senza averne la storia né le radici.