lunedì 11 gennaio 2016

Repubblica 11.1.16
La rivoluzione delle arti che rinnegò il Tempo
Dalle discipline visive ai new media, Bonito Oliva indaga sulle mille sfumature della contemporaneità
Nella prima metà del ’900 autori come Musil o Joyce compresero che i romanzi possono non avere finale
di Antonio Gnoli

Il Tempo – nozione che racchiude esperienze molteplici e diverse – ci avvolge e ci condiziona. Pensiamo di controllarlo, dominarlo, governarlo. Farne il nostro strumento di misura (per esempio attraverso meridiane e orologi o, più naturalmente, con lo scandire delle stagioni e dei giorni). Siamo attraversati dal tempo. Lo leggiamo sui nostri volti che invecchiano, sui nostri corpi che deperiscono. Il suo trionfo è quasi sempre legato alla nostra fine. Ne conosciamo gli effetti. Assai meno l’essenza. Nota è la sentenza agostiniana: so cosa è il tempo fino a quando non ne parlo, non lo penso. Esso fugge e non si lascia prendere se non per l’illusione di un attimo.
I portatori del Tempo – Il tempo inclinato o è il libro curato da Achille Bonito Oliva (Electa, pagg. 400, euro 59), con il quale prosegue la serie dedicata all’Enciclopedia delle Arti Contemporanee. In questo terzo volume una lunga introduzione di Giulio Giorello dedicata al tempo quantitativo e alla concezione che la scienza ne ha dato a partire dalla riflessione greca fino alle più recenti nozioni di fisica quantistica. Per poi passare alle diverse declinazioni del tempo: Musica, Architettura, Arti visive, Cinema, Nuovi Media, Teatro, Fotografia, letteratura.
Prendiamo quest’ultima. Quante volte ci hanno ricordato che un racconto, o un romanzo ha un proprio tempo scandito idealmente da un principio, un centro e una conclusione.
Uno schema, tradizionale ma anche rassicurante come ricordava Thomas Hardy a Virginia Woolf: «Credevamo che vi fosse un principio, un centro, una conclusione. Credevamo nella teoria aristotelica. Adesso i racconti finiscono con una donna che esce da una stanza». L’epilogo, il tempo conclusivo appunto, è come se non si desse più. I romanzi di Kafka spesso si interrompono o non hanno una vera conclusione. Lo stesso accade con Musil e Joyce.
L’inconcluso sembra il nuovo paradigma novecentesco. Viene meno il tempo della filosofia della storia. L’idea che lo Spirito possa hegelianamente cavalcare la storia del mondo. La forma del tempo è il suo arresto apparentemente immotivato. Ne sa qualcosa l’arte del Novecento che interrompe la sua pacifica visibilità. Ed è come se tutta l’arte del secolo che si è chiuso diventi avanguardia o non sia arte. «L’arte d’avanguardia », scrive Bonito Oliva, «ha portato la forma soprattutto nella direzione della turbolenza, dell’alterazione e della destrutturazione della comunicazione». Benjamin parlava di paesaggio di rovine, oggi parleremmo di rovina del paesaggio. Dell’impossibilità che l’estetica fornisca ancora un alibi al bello.
Colpa del tempo inclinato? Per assumere l’espressione che dà il sottotitolo al libro verrebbe da dire che il tempo è uscito dall’asse della sua orbita. Scivola incontrollato in un universo sconosciuto.
Le nostre certezze legate al tempo rassicurante delle stagioni, o a quello ben più intimo delle convinzioni psicologiche lascia il posto all’imbarazzo di non saperlo più riconoscere (la crisi del capitalismo è epocale perché sono venute meno le ragioni del suo tempo storico). È come se il tempo si possa ormai rappresentare soltanto con un buco.
Un buco senza margini, né orli. Testimone di una distruzione avvenuta, ed esso stesso soggetto a distruzione. Può sembrare un discorso insensato. Lo è molto meno se si vanno a cogliere certi esiti dell’arte contemporanea. Gordon Matta-Clark realizzò Conical intersect nel 1975.
L’idea fu di intervenire con uno squarcio interno al Centre Pompidou, allora in costruzione. Di quel “gesto” non resta che qualche disegno, un video e alcune foto. Una visione malinconica e terrificante delle nostre vite inclinate verso il nulla.
IL LIBRO I portatori del Tempo - Il tempo inclinato, a cura di Achille Bonito Oliva ( Electa, pagg. 400 euro 59)