Corriere 11.1.16
La lotta per la terra Nella Russia di Stalin
risponde Sergio Romano
Nel
 libro Tutto scorre... di Vasilij Grossman si narra della grande 
carestia del 1932 seguita alla collettivizzazione forzata voluta da 
Stalin che generò migliaia di vittime per la fame e per le persecuzioni 
contro i kulaki. Chi erano costoro? Nel libro si ricorda altresì 
l’esecuzione di una donna accusata di aver divorato per fame addirittura
 i suoi figli. Ci vuole descrivere questo tremendo scenario e il suo 
perché?
Franco Griffini
Caro Griffini,
A 
lle origini della grande carestia ucraina del 1932 e dei suoi orrori vi è
 la crisi d’identità del regime rivoluzionario alla fine degli anni 
Venti. La Nep (Nuova politica economica) aveva creato una parziale 
economia di mercato e salvato il Paese dalla fame. Ma poneva alla 
direzione del partito una domanda a cui era indispensabile dare 
risposta. Poteva la Russia continuare su quella strada senza rinunciare 
ai principi della Rivoluzione d’Ottobre? Se l’ondata rivoluzionaria 
avesse travolto la Germania e altri Paesi capitalisti, secondo le 
previsioni e le speranze di Lenin, il quadro sarebbe stato molto più 
promettente. Ma tutte le crisi rivoluzionarie dell’Occidente, dalla 
guerra civile tedesca e ungherese al biennio rosso italiano, si erano 
risolte con la vittoria dei «partiti dell’ordine». Dal grande dibattito 
che infiammò il partito russo alla fine degli anni Venti, uscì vincente 
la proposta del successore di Lenin. Eletto alla segreteria generale del
 partito nel 1927, Stalin lanciò il 1° ottobre 1928 un piano 
quinquennale per l’industrializzazione del Paese e la collettivizzazione
 dell’agricoltura. L’industrializzazione dette risultati straordinari. 
Creò una classe operaia che sarebbe stata da allora la spina dorsale del
 regime e fece della Russia la seconda potenza industriale del mondo 
dopo gli Stati Uniti. Per dieci anni, dal 1929, il tasso medio di 
crescita industriale oscillò fra il 12 e il 14%. Nell’agricoltura invece
 il regime dovette scontrarsi con la resistenza dei coltivatori ucraini 
che avevano conquistato il diritto di proprietà negli anni precedenti e 
non intendevano perderlo. Erano chiamati kulaki (dal russo kulak, pugno)
 per la loro combattiva tenacia. Per piegarli alla sua volontà, il 
regime inviò nella regione 27.000 attivisti del partito. Uno di essi era
 un giovanissimo ingegnere sovietico, destinato a divenire il più 
longevo ministro degli Esteri dell’Urss. Nelle sue memorie, apparse in 
Italia nel 1989, Andrej Gromyko ricorda con orgoglio quel periodo della 
sua vita.Vi furono molti episodi di violenza da entrambe le parti. 
L’arma dei contadini fu la distruzione di milioni di mucche e cavalli; 
quella dello Stato sovietico furono le esecuzioni sommarie e 
l’internamento nei campi di concentramento. Ma il maggiore fattore di 
morte fu il crollo della produzione agricola, aggravato dalla siccità 
del 1931 e del 1932. Come negli anni della guerra civile, dopo la fine 
della Grande guerra, gli episodi di cannibalismo furono numerosi.