domenica 10 gennaio 2016

Repubblica 10.1.16
Etruria, i manager ora ammettono “Sì, esisteva un direttorio segreto”
La difesa davanti a Bankitalia “Smettemmo di verbalizzare” Nuova tegola: il mancato controllo sul business dell’oro
di Fabio Tonacci

AREZZO. I manager di Banca Etruria si difendono. E nel farlo, però, involontariamente ammettono alcune delle accuse di Bankitalia. Uno dei più alti dirigenti della Popolare, nella sua memoria difensiva depositata a Palazzo Koch e di cui Repubblica è venuta in possesso, parla in effetti dell’esistenza di una “commissione informale” all’interno del consiglio di amministrazione, che si occupava degli affari più importanti e che nel gennaio 2014 decise di smettere di verbalizzare le riunioni e di informare gli altri. Quel comitato ristretto
e «poco trasparente» gestì tutta la mancata fusione con la Banca Popolare di Vicenza e, dal maggio 2014, Pierluigi Boschi ne fu uno dei componenti.
Il padre del ministro Maria Elena Boschi deve rispondere di 12 contestazioni amministrative, contenute nel verbale con cui l’ispettore della Banca d’Italia Giordano Di Veglia propone multe per tutti i membri dell’ultimo cda dell’Etruria, in base a 17 “accuse” circostanziate. È un documento che questo giornale ha pubblicato nel dettaglio per la prima volta il 18 dicembre scorso.
Non è stato ancora depositato alla procura di Arezzo, dove il magistrato Roberto Rossi ha quattro filoni di indagine aperti sull’istituto bancario, ma il suo contenuto ha già portato all’iscrizione nel registro degli indagati di Lorenzo Rosi e Luciano Nataloni per mancanza di comunicazione di conflitti di interesse. Si prevede che le sanzioni, che arriveranno entro il 16 marzo, ammonteranno complessivamente a 2 milioni di euro, con un range da 12.000 a 48.000 euro a contestazione, a seconda di quanto ogni manager riuscirà a farsi “scontare” con la propria memoria difensiva.
Ce n’è una, presentata da un alto dirigente dell’Etruria che chiede di rimanere anonimo, che ripercorre la nascita della commissione informale. Il mandato che le fu dato nel 2013 era quello di realizzare l’integrazione della banca con un “partner di elevato standing”, come chiedeva Bankitalia. Scrive il manager: «La commissione, composta dal presidente (allora era Giuseppe Fornasari, ndr), dai due vice presidenti, dai consiglieri Santoanastaso e Nataloni (indagato) aveva l’obbligo di riferire costantemente al cda le attività intraprese in esecuzione del mandato ed era in ogni caso riservata al cda medesimo la scelta definitiva del partner». Qualcosa però, col passare dei mesi, cambia.
«Le riunioni della Commissione — dichiara l’amministratore nella sua memoria — sono state verbalizzate fino al 14 gennaio 2014». Dopo quella data, tutto diventò nebuloso, «poco trasparente », per dirla con le parole degli ispettori di Bankitalia. E così rimase anche quando nella commissione entrò nel maggio 2014, in qualità di vicepresiden-
te, Pierluigi Boschi. «Non è stata portata all’attenzione dell’assemblea dei soci l’unica offerta giuridicamente rilevante — annotano gli ispettori, riferendosi a quella della Popolare di Vicenza — e la scelta non fu sostanzialmente dibattuta nel cda».
Sul perché i dirigenti dell’Etruria non accettarono l’offerta, che è un’altra delle censure fatte, il manager consegna a Palazzo Koch questa difesa: «Il corrispettivo di un euro ad azione prospettato nell’offerta non costituiva per la maggioranza dei soci un adeguato incentivo ad accettarla. Anche la trasformazione dell’Etruria in società per azioni, prevista nell’offerta della Popolare, rischiava all’epoca di non intercettare il voto favorevole della maggioranza degli azionisti. Si era creato un clima ostile. Davvero non si comprende quale sia la violazione imputabile».
Insomma, accantonata la proposta della Popolare di Vicenza di un euro ad azione (in effetti ci sono stati anni in cui le azioni dell’Etruria erano arrivate a quota 15 euro), viene affidato a Mediobanca il compito di trovare degli acquirenti. A novembre 2014 sul tavolo «c’erano 21 controparti potenzialmente interessate, di cui 5 banche italiane, 2 banche estere, 14 fondi». Ma tre mesi dopo l’Etruria viene commissariata. «In definitiva — si legge nella memoria — il cda ha assunto ogni iniziativa ipotizzabile al fine di individuare sul mercato un partner concretamente in grado di dare corso all’auspicata integrazione, ma l’esito negativo non può essere imputabile alla pretesa inerzia del cda quanto piuttosto al mercato assolutamente sfavorevole nell’ambito del quale tali vicende si sono verificate ».
Il padre di Maria Elena Boschi, insieme all’ex presidente Lorenzo Rosi, al vice Alfredo Berni e ad altri due consiglieri, deve rispondere in via amministrativa anche delle «lacune nella vigilanza sulla controllata Oro Italia Trading Spa», una società posseduta al cento per cento dall’Etruria che nel 2013 è stata oggetto dell’inchiesta “Argento vivo” della procura di Arezzo. Due gruppi di imprenditori avevano organizzato una maxi truffa di tipo “carosello”, per cui è indagato, tra gli altri, l’ex amministratore di
Oro Italia Plinio Pastorelli. La Popolare aretina, tradizionalmente, si occupa del banco metalli, e la truffa messa in piedi alle sue spalle funzionava così: l’argento e altri metalli preziosi come il palladio venivano acquistati dagli imprenditori sotto forma di grani, poi attraverso un passaggio su società estere fittizie aperte e chiuse a ripetizione, arrivavano alla Oro Italia Trading senza che fosse versata l’Iva al 22 per cento. I finanzieri di Arezzo hanno calcolato un milione e mezzo di euro di guadagno netto per i quattro che sono finiti sotto processo. E tutto è avvenuto sotto il naso del management dell’Etruria che era chiamata a vigilare su uno dei suoi core business. Ma la vigilanza non è mai stato il punto forte di chi occupava le poltrone del cda dell’Etruria.