sabato 9 gennaio 2016

La Stampa TuttoLibri 9.1.16
Schiantarsi sulle Alpi come il folle pilota
Il romanzo di un giornalista (immaginario) che ricostruisce il disastro dell’aereo Germanwings e i propri stati d’animo
di Piersandro Pallavicini

Se in un romanzo l’io narrante si concede una pausa dalla storia principale da cui poi esce dicendo «ma sto divagando», e noi lettori ci ritroviamo invece a pensare «no, ti prego continua», vuol dire che siamo davanti all’opera di un narratore di talento. Nel nuovo romanzo di Giovanni Cocco,La promessa
, succede vicino a pagina cinquanta, e da lì, per il piacere di chi legge, quelle che l’io narrante chiama «divagazioni» e la vicenda principale finiscono per intrecciarsi e assumere identico peso. Si tratta di questo: Vincent De Boer, ex-giornalista di cronaca, in pausa dal lavoro da qualche anno, d’impulso decide di voler scrivere della vicenda del volo Barcellona-Düsseldorf della Germanwings. Ce la ricordiamo tutti, impossibile dimenticare l’angoscia di quei giorni in cui si seguivano spasmodicamente i notiziari per cercare di capire prima cosa fosse successo, e poi l’origine della follia del pilota Andreas Lubitz.
Nella finzione del romanzo di Cocco, De Boer si reca sul posto, a Le Vernet, ai piedi del massiccio dei Trois-Évêchés, dove l’aereo si è schiantato. L’intera vicenda viene ricostruita nei dettagli, attraverso la lunga sequenza di informazioni circolate dopo l’incidente. De Boer parla con testimoni oculari, segue l’azione dei volontari, approfondisce con i proprietari dell’aeroclub dove Lubitz aveva imparato a volare. Ma non bisogna in alcuna misura aspettarsi un romanzo d’indagine, l’autore e il suo personaggio non hanno da offrire altri dati e fatti rispetto a quelli acclarati: non è questo lo scopo e il taglio di questo romanzo affascinante. L’intenzione è piuttosto quella di trovare corrispondenze, somiglianze tra lo stato d’animo (il quadro psicologico, gli schemi di vita e dunque di pensiero) di Vincent De Boer e quello che ha condotto Lubitz allo schianto.
Ecco dunque dove trovano posto le cosiddette «divagazioni»: nello scavo del passato e del presente, della vicenda umana, lavorativa, sentimentale dell’ex-giornalista. Se c’è un motore in questo romanzo, è quello dell’interrogarsi sulla possibilità di governare la propria vita al fronte dell’immane numero di variabili del mondo, di esercitare il libero arbitrio contro l’essere travolti da un flusso di eventi che ci può portare in luoghi imprevedibili, persino nel cockpit di un aereo che ci ritroviamo a dirigere contro un massiccio montuoso.
Giovanni Cocco ha scritto La Promessa come seguito de La Caduta, il complesso romanzo-mondo finalista al Premio Campiello 2013. Un seguito che era stato a lungo programmato, con pagine scritte e poi gettate, perché è evidente che questo nuovo romanzo è stato in realtà scritto di getto (il disastro aereo è di fine marzo 2015), e i collegamenti con La Caduta sono più che altro in alcuni personaggi che tornano e nella scelta di raccontare un’altra catastrofe. Qui però il passo è diverso, qui si recupera una tridimensionalità dei personaggi, una profondità di indagine dei sentimenti che in La Caduta passava talvolta in secondo piano a favore della sontuosità del progetto e della struttura dell’opera. Questo significa che Cocco è uno scrittore che sa cambiare, che ha talento e che in più questo talento lo sa gestire in funzione del testo che si appresta a scrivere. E infatti Cocco non ha dato alle stampe solo questi due romanzi complessi, e in buona parte inscrivibili dentro un coté che semplificando si può definire «intellettuale», ma anche Il bacio dell’Assunta (2014, Feltrinelli), un romanzo d’intreccio ambientato sulle sponde di un lago, nel solco di Piero Chiara e Andrea Vitali, e – insieme ad Amneris Magella – i due purissimi gialli Ombre sul lago e Omicidio alla Stazione Centrale, usciti nel 2013 e 2015 per Guanda. Uno scrittore non etichettabile dunque, ammirevole anche per il proprio coraggio, in un’Italia dove spesso si tende invece a cercarsi una nicchia, un giro, rendendosi riconoscibili e di conseguenza più facilmente accettabili.