Repubblica 9.1.16
Neil Gregor
“Bisogna leggere il Mein Kampf per disarmarlo”
Da
ieri il manifesto di Hitler è nelle librerie tedesche in edizione
critica e autorizzata. Con quali rischi? Parla Neil Gregor, uno dei
massimi esperti mondiali di storia del nazismo
intervista di Enrico Franceschini
Studiarlo
serve a capire non solo il meccanismo ideologico che portò al genocidio
degli ebrei Ma anche la minaccia dei genocidi nel mondo contemporaneo
dal Ruanda alla Cambogia
LONDRA
«Era giusto proibire il libro di Hitler nel 1945, ma oggi la Germania
fa bene a pubblicarlo, perché possa essere studiato, per capire ancora
meglio come nacque il genocidio degli ebrei durante il nazismo e per
mettere in guardia contro i genocidi del presente». Neil Gregor, docente
di storia all’università di Southampton, uno dei più grandi studiosi al
mondo del Terzo Reich, guarda cadere l’ultimo tabù della Germania.
Ieri, per la prima volta dal 1945, è tornato nelle librerie tedesche il
“Mein Kampf”: edizione critica di due volumi, duemila pagine, un
apparato di note e commenti monumentale, curato dal team dello storico
Christian Hartmann dell’Istituto di Storia Contemporanea di Monaco di
Baviera.
Sono passati settant’anni dalla
morte del Führer, novanta dalla prima edizione e appena sette giorni
dalla scadenza dei diritti d’autore. Non è stata una sorpresa, ma vedere
l’opera in vetrina dopo che per tutti questi anni il Land della Baviera
ne aveva vietata la riedizione, è stato uno choc. A Monaco soprattutto,
la città culla del movimento nazista, dove Hitler aveva scelto di avere
la sua residenza e dove nel 1925 per i tipi dell’editore Franz Eher,
era apparso con il titolo Una resa dei conti il primo volume dell’opera.
Eppure l’interesse è stato tale da arrivare già ieri a 15mila ordini,
4mila in più della tiratura iniziale. Un successo di copie che sembra
dar ragione agli editori.
Cosa pensa della pubblicazione del “Mein Kampf”, professor Gregor?
«Non
penso che la Germania avesse molta scelta. Ritengo comunque che
pubblicarlo sia stata la decisione giusta, per le ragioni che gli
editori hanno anticipato da tempo, a cominciare dal fatto che il libro
era disponibile comunque online a chiunque volesse leggerlo, per finire
con il fatto che è passato molto tempo, la Germania è cambiata ed è
comunque giusto potere studiare anche un testo simile per comprendere la
storia del passato e i rischi del futuro».
Nel
saggio “How to read Hitler” lei ha analizzato non solo gli argomenti,
ma anche la lingua e la forma del “Main Kampf”. Siamo sicuri che non ci
siano problemi a leggere oggi il Führer?
«Non
credo. La Germania oggi è probabilmente la democrazia più stabile
d’Europa. È inoltre un paese che ha ragionato a lungo sul proprio
passato nazista, lo ha digerito con grande attenzione ed è consapevole
di che cosa significa come retaggio storico e culturale. Il Mein Kampf è
un esempio del retaggio del Terzo Reich, non differente da altri testi e
manifestazioni politiche, artistiche, culturali di quel periodo che
vanno egualmente analizzate».
Quale potrà essere la reazione dei circoli di estrema destra e filo-nazisti, in Germania e nel resto d’Europa?
«È
vero che esistono gruppi di questo genere nella Germania odierna, come
del resto ne esistono in Gran Bretagna, Italia e altri paesi del nostro
continente. Ma è altrettanto vero che si muovono in una prospettiva
differente rispetto al nazismo del Terzo Reich e alle idee propagate dal
libro di Hitler. Sono gruppi anti- profughi, anti-immigrati, più
concentrati sull’islamofobia che sull’antisemitismo, ben diversi dai
predecessori ai quali si rifanno, seppure anch’essi pericolosi e da
emarginare con fermezza. Il danno che possono fare relativamente alla
pubblicazione del libro di Hitler, tuttavia, dovrebbe essere marginale,
non mi aspetto che possa diventare la miccia di un risorgere del
nazismo, con vecchi o nuovi slogan».
Andreas
Wirsching, direttore dell’istituto che ha curato l’edizione, ha detto
che questo lavoro «smaschera le informazioni false diffuse da Hitler, le
sue bugie e rende riconoscibili tutte le mezze verità finalizzate agli
effetti propagandistici»...
«Conosco il
lavoro che è stato fatto dagli editori: hanno fornito nelle note i nomi,
le date, il contesto storico, necessari a inquadrare il testo e a
capirne meglio il significato. Un lavoro ben fatto, che mira per così
dire a detossificare il libro, a dimostrare quanto folli, orribili e
sbagliate fossero le tesi dell’autore».
Le
opere di Mao, Stalin, Lenin, sono sempre state pubblicate senza
suscitare polemiche, sebbene oggi quei leader siano giudicati dalla
storia come dei dittatori sanguinari.
Perché il “Mein Kampf” andrebbe considerato diversamente?
«La
mia risposta è che in effetti il Mein Kampf non dovrebbe essere
considerato diversamente. La differenza è che, dopo la morte di Hitler e
la fine della Germania nazista, la nuova Germania democratica mise al
bando quel testo per dare un messaggio simbolico di condanna totale del
passato, un segno di rottura, mentre i libri di Lenin, Stalin, Mao
continuavano a venire pubblicati, in Russia, Cina o in Europa orientale,
con il sostegno di governi o regimi che non avevano preso le distanze
da essi. La mia opinione è che la Germania fece bene a vietare il Mein
Kampf nel 1945, ma oggi viviamo in un’epoca differente. Pubblicare le
opere di un tiranno non vuol dire condividere le sue idee, vuol dire
soltanto che è possibile studiarlo».
Come si studierebbero Napoleone, Genkis Khan, Giulio Cesare?
«Sì,
ma Napoleone o Cesare non concepirono il genocidio di massa di un
popolo. La ragione per studiare Hitler e il suo libro è diversa: serve a
capire non solo il meccanismo ideologico che portò la Germania nazista
verso il genocidio degli ebrei, ma anche a comprendere la minaccia del
genocidio nel mondo contemporaneo, una minaccia che, dal Ruanda alla
Cambogia al Darfur, purtroppo non è scomparsa».
Crede che in Israele la pubblicazione del ‘Mein Kampf” da parte della Germania verrà presa con maggiore ansia?
«Probabilmente
sì e per ragioni interamente comprensibili. Molti cittadini di Israele
hanno perso la propria famiglia nell’Olocausto ed è legittimo che
guardino ancora con preoccupazione al risveglio di un simile orrore in
qualunque forma. Ma penso che anche molti israeliani concordino che, a
distanza di settant’anni, è un fenomeno da studiare per capire appunto
come si è sviluppato. E inoltre Israele sa che la Germania, proprio per
quello che fece Hitler agli ebrei, è oggi il suo miglior amico e
sostenitore in Europa».