La Stampa TuttoLibri 23.1.16
Maria, la “donna” più potente del mondo fece paura a Stalin
La “svoilta religiosa” del dittatore nel ’41
di Andrea Tornielli
Il
«National Geographic» lo scorso dicembre le ha dedicato la copertina
con un titolo significativo: «La donna più potente del mondo». E non
stava parlando della presidente di un grande Paese, o di un’importante
manager. Si riferiva infatti alla Madonna. L’autrice del reportage,
Maureen Orth, dopo un lungo viaggio nei luoghi simbolo della venerazione
mariana, spiegava che quell’aggettivo, «potente», non era legato
soltanto ai miracoli attribuiti alla Vergine, ma anche al fatto che
l’immagine e la storia di Maria «possono definire l’identità di un
Paese», come nel caso delle apparizioni di Guadalupe in Messico: anche
quei messicani che non si dicono cattolici, si dichiarano comunque
«guadalupani».
Non è facile parlare della figura di Maria e della
sua devozione uscendo dal devozionalismo. Ci è riuscito Vittorio
Messori, giornalista e scrittore di razza, formatosi alla solida scuola
torinese e autore di best seller mondiali dedicati alla storicità dei
Vangeli. Nel 2008, trent’anni dopo il suo primo libro che lo rese
famoso, Ipotesi su Gesù, Messori pubblicava Ipotesi su Maria, un volume
che ha esaurito molte ristampe e che esce ora in edizione aggiornata con
l’aggiunta ben tredici nuovi capitoli, come sempre solidi dal punto di
vista delle fonti e della documentazione. Quasi un’enciclopedia che
scandaglia storia, teologia, apparizioni e aneddoti.
Uno dei nuovi
capitoli è dedicato a una vicenda che coinvolge Stalin e che l’autore
ha ricavato da una corposa biografia del dittatore georgiano pubblicata
nel 1997 in lingua russa e curata da Edvard Radzinskij, uno studioso
appartenente alla nomenklatura culturale sovietica. Era noto che Stalin,
trovandosi a dover fronteggiare l’invasione tedesca aveva allentato un
po’ la stretta sulla Chiesa ortodossa perseguitata affinché, in un
momento di estrema difficoltà, collaborasse alla «grande guerra
patriottica» che sarebbe stata poi vinta anche grazie al «generale
inverno». Ma non si conosceva il retroscena di questa decisione, che
sarebbe stata frutto non di una strategia, bensì di una paura. A
provocarla, una lettera proveniente da Libano, recapitata personalmente a
Stalin dal generale Boris Shaposhnikov, capo di stato maggiore
dell’Armata Rossa dopo essere stato un valoroso colonnello nell’esercito
dello zar, stimato per le sue doti militari e in cuor suo ancora
credente.
La missiva era stata scritta dal un metropolita
ortodosso russo in Libano, Elias, il quale riferiva di aver visto la
Madonna dopo tre giorni di digiuno totale da cibo e acqua, trascorsi in
ginocchio a pregare. La visione avrebbe detto al mistico monaco che
Leningrado di sarebbe salvata se fossero stati riaperti monasteri e
chiese della Russia, se i pope nelle carceri sovietiche fossero stati
liberati e se l’antica icona della Vergine di Kazan fosse stata portata
in processione a Mosca, Stalingrado e nella Leningrado sotto assedio.
L’icona era molto venerata dal popolo russo, a motivo della sua
rocambolesca storia: scomparsa da Costantinopoli durante l’invasione dei
Tartari, venne ritrovata nella città tatara di Kazan nel 1579, sotto le
macerie di un’abitazione distrutta dall’incendio che aveva devastato la
città.
Ebbene, Messori afferma che dietro la svolta «religiosa»
di Stalin, tra il 1941 e il 1942, non c’era «soltanto il calcolo
politico, la finzione pseudo devota per coinvolgere il popolo nella
difesa del regime». Quella svolta, osserva ancora l’autore, «in effetti
non fu del tutto rinnegata dal regime a vittoria ottenuta. Continuò la
repressione, ma la persecuzione fu alleviata e del «piano quinquennale»
per l’estirpazione della fede non si parlò più». Una conferma indiretta
di quanto avvenuto, ricorda Messori, fu l’assegnazione nel 1947 al
metropolita libanese il premio Stalin, il «Nobel sovietico», concesso ad
artisti, scienziati ma anche a chi avesse compiuto «importanti servizi
all’Unione Sovietica e alla causa del socialismo». Elias, che non aveva
simpatie comuniste, non volle ritirare il premio, chiedendo che il
denaro fosse usato per gli orfani russi della guerra.