sabato 9 gennaio 2016



La Stampa 9.1.16
“Ecco gli illeciti di Banca Etruria”
Nelle carte di Bankitalia le violazioni di manager e consiglieri che hanno affondato l’istituto

La Procura di Arezzo ipotizza che siano stati concessi da Banca Etruria finanziamenti in conflitto d’interesse ad alcune società, quattordici delle quali, oltre all’istituto di credito, sono state perquisite dalla Guardia di finanza. Bankitalia accusa ex consiglieri, manager e sindaci di Etruria del collasso della banca e chiede nuove sanzioni, dopo la maximulta da 2,5 milioni arrivata nel 2014. Coinvolti, tra gli altri, l’ex presidente Lorenzo Rosi e Pierluigi Boschi, padre del ministro Maria Elena, a lungo consigliere e vicepresidente.

La Stampa 9.1.16
L’incaglio dei crediti e dei dirigenti
di Francesco Manacorda

Le carte della Procura di Arezzo che pubblichiamo oggi fanno fare un salto avanti all’indagine su eventuali rapporti preferenziali tra Banca Etruria e quattordici società che da questa hanno ricevuto credito senza poi riuscire a ripagarlo. E mostrano come sotto la montagna dei crediti cattivi c’è spesso anche una cattiva amministrazione.
Le violazioni contestate dalla Banca d’Italia che sono nei fascicoli dell’inchiesta riguardano le «carenze nel governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale». Indicano insomma che chi era – spesso da anni e anni, se non da decenni – nella stanza dei bottoni della banca aretina maneggiava in modo a dir poco disinvolto una materia delicata e sensibile come il credito bancario. Le indagini della magistratura dovranno adesso appurare se dietro queste concessioni di denaro ci siano palesi conflitti d’interesse – cosa più che possibile, visto che tra i consiglieri della banca sanzionati c’era anche chi sedeva nelle società beneficiate dai crediti – o eventuali altri reati.
Per il momento, comunque, quel che emerge è il rapporto tra la montagna di crediti bancari deteriorati del sistema bancario italiano, una montagna alta 337 miliardi di euro, e il consiglio d’amministrazione di un medio istituto della provincia come la Popolare dell’Etruria.
A prima vista il rapporto non c’è. Ma è un’impressione sbagliata. Se si cerca di capire come sia cresciuta in Italia quella massa da 337 miliardi, che rappresenta l’enorme somma di crediti in sofferenza, incagliati o già ristrutturati – in tutto oltre un sesto di tutti i finanziamenti concessi dal sistema bancario nazionale – ci si sentirà spesso dire, anche dal mondo delle stesse banche, che si tratta di una sfortunata circostanza: dopo il 2009 l’economia italiana è stata colpita da un vero tornado e gli effetti devastanti delle fabbriche chiuse e dei magazzini pieni si sono tradotti presto in conti bancari vuoti. Una spiegazione che vale specie per le piccole banche locali, così vicine alle aziende del loro territorio.
Ma questo è vero solo in parte. Pesano, come si vede nel caso della Popolare dell’Etruria e delle altre banche finite commissariate, anche e molto gli intrecci perversi e infiniti tra chi il credito concede e chi lo riceve. Colpiscono poi i rilievi mossi dalla Vigilanza all’ex presidente e al vicepresidente della banca aretina, Lorenzo Rosi e Pierluigi Boschi, di aver formato assieme ad altri una sorta di «cda ombra» per esaminare e respingere una possibile fusione con un altro istituto, in barba ai poteri conferiti al consiglio d’amministrazione.
Ci possiamo rassicurare dicendo che si tratta solo di casi limite? Purtroppo non ancora. Senza fare catastrofismi non è detto che tutti i casi di cattiva gestione bancaria degli ultimi anni siano già venuti alla luce.
Quel che possiamo dire è che in alcuni casi i veri incagli e le reali sofferenze non stanno solo nei crediti dei clienti, quanto nei consigli d’amministrazione delle banche. Come testimonia anche l’inchiesta che pubblichiamo oggi sul giornale ci sono consiglieri «incagliati» al loro posto da decenni. Non è che questo sia illegale in sé: ma è indubbio che un sistema sclerotizzato, dove gli amministratori restano abbarbicati a quella che considerano la «loro» banca il più a lungo possibile, favorisca il rischio di una concessione di credito secondo criteri oscuri e in gran parte discrezionali. Servono regole forse più severe – in ogni caso più efficaci – per evitare conflitti d’interesse anche potenziali. E serve che l’indipendenza dei consiglieri – vale per tutte le società quotate, ma per le banche vale ancora di più – non rappresenti solo un requisito formale ma un dato sostanziale. Se il denaro delle banche viene impiegato in operazioni poco chiare o destinate in partenza ad essere più rischiose del dovuto diventa più probabile anche che il risparmio ad esse affidato venga tradito.