Corriere 9.1.16
Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Claudio De Vincenti
«Non escludiamo rimborsi totali»
di Lorenzo Salvia
ROMA
«Le indagini devono fare il loro corso e, una volta accertate le
responsabilità, chi avesse sbagliato dovrà pagare. Ma in ogni caso
escludo conseguenze di qualsiasi tipo sul governo». Anche se il padre
del ministro Maria Elena Boschi dovesse essere rinviato a giudizio o
condannato? «Siamo in uno Stato di diritto, se non sbaglio. La
responsabilità davanti alla legge è personale. E, aggiungo, il discorso
del ministro Boschi in Parlamento è stato limpido e ineccepibile, come è
stato riconosciuto dalla gran parte degli osservatori e anche da un
buon numero di avversari politici». Il sottosegretario alla presidenza
del consiglio Claudio De Vincenti è abituato a parlare lentamente,
sempre alla ricerca della parola esatta come faceva da professore
universitario. Stavolta aggiunge delle pause. Forse consapevole che la
vicenda della quattro banche salvate per decreto dal governo («guardi
che non abbiamo salvato le banche, abbiamo salvato i soldi di chi lì
aveva il conto corrente») è un terreno molto scivoloso.
È per questo che avete deciso di accelerare sui decreti per gli indennizzi?
«No, abbiamo accelerato perché è giusto dare una risposta rapida a chi ha perso i soldi che aveva investito».
Sarà possibile, in alcuni casi, un rimborso totale?
«In
linea di principio l’ipotesi non è da escludere. Per il momento si sta
ragionando sui principi che porteranno a fissare criteri precisi».
E quali saranno?
«Il
primo è che non sia stata fornita al risparmiatore un’informazione
adeguata su quel tipo di investimento. Il secondo è che saranno
privilegiate le posizioni più fragili, considerando sia il tipo di
investimento sia il profilo generale del risparmiatore».
È possibile che l’indennizzo sia fatto con azioni delle nuove banche?
«Mi sembra prematuro parlarne».
Però la percentuale non sarà uguale per tutti?
«È una delle ipotesi».
Per i rimborsi ci sono al momento 100 milioni di euro. Ne arriveranno altri?
«Non
è da escludere ma vedremo più avanti. Prima bisogna capire quante
risorse saranno assorbite dalle decisioni degli arbitrati. Poi, se
necessario, potremo intervenire. Sottolineo, comunque, che quei 100
milioni non sono soldi pubblici: sono fondi messi a disposizione dal
sistema bancario».
La prossima settimana
approverete la riforma delle banche di credito cooperativo. Recepirete
le proposte delle stesse Bcc oppure no?
«Terremo
conto della loro autoriforma. In ogni caso puntiamo a un sistema basato
su uno o più gruppi aggreganti che aiutino il rafforzamento delle
banche. L’obiettivo è sbloccare il credito all’economia. Vedremo entro
gennaio».
Intanto il 31 dicembre è scaduto
il vecchio programma di fondi europei. Quanto non siamo riusciti a
spendere di quei 45 miliardi di euro?
«Il
dato finale lo avremo a febbraio ma siamo molto soddisfatti. Abbiamo
sostanzialmente raggiunto l’obiettivo di assorbimento delle risorse,
stimiamo un rischio residuo non superiore al 2-2,5%. Insomma alla peggio
potrebbe restare fuori un miliardo».
Comunque non poco, in tempo di risorse scarse.
«La
colpa non è certo nostra. Nel 2011 il governo Berlusconi era arrivato a
spendere solo il 15% dei fondi a disposizione fin dal 2007. C’è stato
un forte recupero di spesa, specie sui quattro programmi più in
difficoltà: quelli nazionale Reti e quelli regionali Calabria, Sicilia e
Campania, dove per tutti arriviamo al 100% o molto vicini».
Non è che, pur di usare quei soldi, abbiamo abbassato la qualità della spesa, cioè finanziato «la qualunque»?
«Al
contrario. Abbiamo riprogrammato i fondi verso i progetti capaci di
tirare più risorse, trasporto su ferro e dissesto idrogeologico».
È vero che per la vendita delle acciaierie Ilva il governo cerca una cordata italiana?
«Non
abbiamo preferenze di nazionalità. L’unica preferenza è per una
soluzione che mantenga la forza industriale e finanziaria dell’azienda e
il radicamento sul territorio italiano di tutti gli attuali
stabilimenti, a cominciare da Taranto».
Questo rende probabile che la cordata sia italiana, non crede?
«Naturalmente noi sollecitiamo gli imprenditori italiani a farsi avanti con proposte concrete».
E non c’è il rischio che si ripeta il pasticcio dei «capitani coraggiosi» di Alitalia, con una toppa che non regge?
«No, perché la soluzione deve essere forte sul piano industriale e finanziario».
Ma dal punto di vista tecnico chi sarà a firmare l’atto di vendita dell’Ilva?
«È l’amministrazione straordinaria che opera la cessione. Non vedo il problema».
C’è chi parla di esproprio.
«Non
sa ci cosa sta parlando. Siamo nel pieno rispetto della Legge Marzano. E
senza il commissariamento di due anni fa, oggi sì che l’Ilva sarebbe a
rischio».
Dall’Unione europea continuano a chiederci di non esagerare sulla flessibilità. Rischiamo nuove procedure d’infrazione?
«No, perché non chiediamo nulla di più di quanto già previsto dalle regole europee».
C’è
però il rischio che il debito pubblico non scenda se l’anno prossimo il
Pil cresce meno di quanto previsto da voi e l’inflazione resta così
bassa. Non pensa?
«La crescita dell’economia farà riprendere anche la dinamica dei prezzi. In ogni caso il debito pubblico scenderà».
E vi impegnate a disinnescare le clausole di salvaguardia del 2017, cioè gli aumenti di tasse che scatterebbero in automatico?
«Certo, e lo faremo continuando a lavorare sulla revisione della spesa pubblica. Eviterei di chiamarla ancora spending review».
Si dice che Vasco Errani potrebbe prendere il suo posto allo Sviluppo economico.
«Ho
grande stima per lui, abbiamo lavorato insieme per risolvere situazioni
di crisi aziendali in Emilia Romagna. Quanto ai futuri assetti del
governo, dipendono da tante variabili che saranno valutate con le forze
politiche. A me piace pensare che i partiti abbiano un ruolo importante
nella valutazione della situazione politica».
lorenzosalvia