il manifesto 9.1.16
Immigrazione, la resa del premier
Governo.
La depenalizzazione del reato di clandestinità slitta ancora. Motivi di
«opportunità politica». Il parlamento insiste: meglio una sanzione
amministrativa. Ma Palazzo Chigi cede per la secondo volta ad Alfano.
L’esecutivo non esercita la delega. Ignorati i richiami della Corte
europea e dei magistrati che indagano sulla tratta dei migranti
di A. Fab.
ROMA
Che il reato di immigrazione clandestina, eredità dei governi
Berlusconi che il Pd ha più volte promesso di abolire, sia contrario
alla giustizia Europea lo ha stabilito la Corte di Strasburgo. La sua
depenalizzazione sarebbe assai utile nel contrasto alla tratta di
migranti, lo chiedono da anni i magistrati che indagano sugli scafisti e
il procuratore nazionale antimafia. Non solo, che il reato penale
immaginato ai tempi della legge Bossi-Fini debba essere trasformato in
un illecito amministrativo lo ha detto due volte il parlamento: la prima
in una legge delega del maggio 2014, che il governo non ha esercitato
solo su questo punto, la seconda un mese fa quando le commissioni
parlamentari hanno incalzato il governo perché proceda anche a questa
depenalizzazione. Ma la depenalizzazione non si farà. Il decreto,
preparato dal ministro Orlando, non è arrivato al Consiglio dei ministri
di ieri. Se ne riparlerà probabilmente la prossima settimana. Sotto i
peggiori auspici, visto che palazzo Chigi fa sapere che «la logica
vorrebbe la scelta della depenalizzazione. Ma nella componente sicurezza
l’elemento psicologico e di percezione è molto importante».
È
una dichiarazione di resa di Renzi di fronte ad Alfano che, ministro
della giustizia nel governo Berlusconi quando il reato fu introdotto, ha
sempre difeso la legge anche di fronte ai fallimenti. L’impossibile
applicazione della sanzione (da 5 a 10mila euro) a carico dei migranti
in fuga, la possibilità per gli indagati di non collaborare nelle
indagini sui responsabili della tratta (a differenza dei testimoni non
indagati), persino la complicazione nelle procedure di espulsione
consigliano da anni il passo indietro, anche a prescindere da ogni
valutazione di giustizia e umanità. Ma «la logica» traballa a palazzo
Chigi davanti alle ragioni di «opportunità politica». La stessa
«opportunità alla quale si aggrappa il ministro dell’interno Alfano,
quando si avventura a spiegare che malgrado «voci molto autorevoli e
rispettabili affermano ragioni tecnicamente valide a sostegno di una
abrogazione» esistono «motivi di opportunità fin troppo evidenti» per
«evitare di trasmettere all’opinione pubblica dei messaggi che sarebbero
negativi per la percezione di sicurezza in un momento particolarissimo
per l’Italia e l’Europa».
È con ragionamenti
del genere — ovvero: la gente ha paura dei terroristi, meglio mantenere
il reato di immigrazione clandestina malgrado sia disumano,
inapplicabile e controproducente — che Alfano riuscì a imporsi nel
Consiglio dei ministri del 13 novembre scorso. Scadeva allora la delega
prevista nel disegno di legge Orlando approvato nel maggio 2014 dalle
camere; la riunione del governo si tenne nel pomeriggio del giorno che
sarebbe poi passato alla storia come quello degli attacchi terroristici
di Parigi, cominciati nella serata allo stadio e al Bataclan. Senza
bisogno di quel carico emozionale, la linea dell’ex ministro di
Berlusconi convinse Renzi e si decise di trasmettere lo schema di
decreto legislativo al parlamento senza la depenalizzazione del reato di
immigrazione clandestina. Il problema però è ritornato sulla scrivania
di palazzo Chigi, di nuovo attraverso il guardasigilli Orlando, perché
le commissioni parlamentari nell’esprimere il loro parere favorevole
hanno raccomandato che «il reato di immigrazione clandestina sia
trasformato in illecito amministrativo». Entro la prossima settimana
Renzi dovrà decidere. A meno che gli uffici non riescano a trovare nelle
pieghe della legge delega originaria i margini per rinviare ogni
decisione di altri sessanta giorni. Che sarebbero utilissimi
all’esecutivo.
La questione immigrazione
clandestina viene a coincidere infatti con l’altra che divide il Nuovo
centrodestra dal Pd, quella delle Unioni civili, e annuncia una terza
spaccatura, sulla riforma della cittadinanza. Alfano ha buone chance di
vittoria, in nome della «opportunità politica». Nel frattempo una parte
del Pd invita a non rimangiarsi anche questo impegno — «la politica non
può farsi guidare dalla paura», dice Speranza — mentre un’altra (quella
renziana) già a capito dove si andrà a parare: «Sull’abolizione del
reato di clandestinità non potrei essere più d’accordo, su quando farlo
agirei in questo momento con grande cautela», dice Fiano. L’occasione è
perfetta per la Lega per profetizzare invasioni, e Salvini annuncia già
un referendum per cancellare la cancellazione del reato. Che intanto può
attendere.