La Stampa 8.1.16
Il premier vuole le riforme prima delle unioni civili
Voto il 20, poi la legge sui diritti il 26
di Carlo Bertini
L’ultimo voto sulla riforma costituzionale in Senato, quello decisivo che richiede una maggioranza qualificata in entrambe le Camere, dovrebbe celebrarsi il 20 gennaio: questa la data, ancora non definita, ma cerchiata in rosso dagli uffici a Palazzo Madama. L’indicazione che giunge dai saloni senatoriali è interessante perché dimostra che il premier vuole mettere al riparo la riforma cui ha legato il suo destino politico dalle tensioni sulle unioni civili. Che andranno in aula il 26 con le fibrillazioni amplificate da settimane di battaglie mediatiche e con l’ombra di un altro Family day a piazza San Giovanni. Passate le forche caudine del Senato (dove i numeri sono ballerini, la finanziaria è passata con soli 162 sì), la riforma Costituzionale approderebbe alla Camera per il timbro finale in aprile, così da tenere il referendum in ottobre.
Ma la volontà di accelerare il voto più critico sulla riforma costituzionale svela l’intenzione di blindare la maggioranza prima della prova del fuoco sulle unioni gay: che stanno dividendo il pd tra difensori delle adozioni e del cosiddetto “affido rafforzato”, creando irritazione nel governo per un dibattito che fa il gioco dei centristi che minacciano referendum e rischi slavine. Il capogruppo Zanda, finito nel mirino per il suo silenzio, ha reagito criticando la pletora di «dichiarazioni così poco costruttive sul tema». Oggi Renzi e la Boschi incontreranno Zanda e Rosato per valutare una possibile mediazione che tenga unito il Pd, facendo rientrare le resistenze dei cattolici sulle adozioni e per evitare strappi con i centristi. «Non c’è un accordo politico con i 5stelle che ci dia garanzie», spiegano i renziani, svelando il timore di agguati nei voti segreti che possano far ricadere sul Pd la colpa di uno snaturamento della legge. Dunque potrebbero esserci limature sulla stepchild adoption, per attenuare il rischio di «utero in affitto».