La Stampa 8.1.16
Al dragone mancano i consumatori
di Franco Bruni
L’economia cinese preoccupa e i suoi guai possono avere forti ripercussioni mondiali. Si svaluta la sua moneta, crolla la Borsa e la crescita del Pil pare rallentare più di quanto ci si attendesse. Che cosa succede? Al di là di voci e fattori volubili, che di giorno in giorno influenzano i mercati, il problema è che in Cina si stanno sovrapponendo due complesse trasformazioni.
La prima è il passaggio da un’economia il cui sviluppo è trainato dal settore che produce per le esportazioni a un sistema più concentrato nella produzione di beni e servizi per il consumo interno. E’ una transizione tipica dei Paesi che emergono dal sottosviluppo e la cui crescita deve a un certo punto fare un salto di qualità. Prima tutti gli sforzi sono per affacciarsi e affermarsi sui mercati mondiali, anche a costo di sacrificare quantità e qualità dei propri consumi. Ma arriva il momento in cui la differenza fra la modernità del settore esportatore e l’arretratezza del resto del sistema è eccessiva. Occorre allora cambiare modello: sviluppare il settore dei consumi e dei servizi interni, dove salari e profitti devono crescere per attirare lavoro e capitale e sostenere la domanda di ciò che si produce.
Ciò richiede complesse ristrutturazioni di imprese, nuovi direzioni del credito e degli investimenti, una diversa attenzione politico-amministrativa: è una transizione difficile. Per aiutarla è meglio che il cambio rimanga forte. Con uno yuan forte le esportazioni cinesi sono più care per il resto del mondo, che perciò ne domanda meno, dando così un incentivo ai produttori cinesi perché puntino di più sui mercati interni.
Lo yuan sta invece svalutandosi. E’ la conseguenza di un altro difficile cambiamento deciso da Pechino per completare la modernizzazione del Paese: passare da un’economia chiusa ai movimenti di capitali con l’estero a una Cina dov’è libera l’entrata e l’uscita di risparmi e investimenti, con lo yuan trattato in tutto il mondo. Aprire le frontiere ai capitali significa però offrire ai cinesi più opportunità di diversificare la loro ricchezza investendola all’estero, comprando altre monete, vendendo yuan e dunque svalutando. Per compensare questa pressione al ribasso del cambio occorrerebbe che, mentre escono capitali cinesi, entrino più capitali esteri, attirati proprio da quella modernizzazione che la Cina persegue. Al momento questo non succede abbastanza, per diverse ragioni, compresa una carenza di fiducia nell’effettiva capacità della Cina di guidare a buon fine le difficili trasformazioni che dovrebbero modernizzarla. Sicché le uscite di capitali prevalgono e la speculazione, nonché l’attesa di rialzi dei tassi di interesse in Usa, le trasforma in fughe precipitose, che svalutano il cambio e i corsi di Borsa. Un eccesso di svalutazione sarebbe un guaio anche perché in questi giorni sta emergendo che la Cina ha molti debiti in dollari e questi son più gravosi col cambio debole.
Perché l’economia cinese viri durevolmente in positivo serve più credibilità della sua leadership politica che sta facendo i conti con l’aumento di trasparenza, libertà e democrazia che per modernizzare il Paese è altrettanto importante delle trasformazioni della sua economia. Le quali devono diventare più celeri e nitide: ristrutturando radicalmente le imprese pubbliche, riformando davvero i mercati dei beni, dei servizi, del lavoro, vincendo la battaglia intrapresa contro la corruzione, modernizzando e depoliticizzando le burocrazie. La Borsa va ripulita da titoli e operazioni economicamente inconsistenti e puramente speculative. Il governo deve smettere di confondere gli operatori internazionali promettendo mercati liberi salvo poi pasticciarli con pesanti controlli e obbligar le banche a comprare azioni per evitarne il crollo.
E lo yuan? Le autorità cinesi stanno perdendo credibilità sul mercato valutario, con dichiarazioni e interventi che creano confusione e alimentano la fuga di capitali. Devono prendere un impegno chiaro e mantenerlo: potrebbe esser quello di tener stabile il valore in valuta cinese di un paniere di valute estere, magari proprio quel paniere nel quale il Fmi ha deciso di ospitare anche lo yuan, mostrando un’attenzione diplomatica per gli sforzi cinesi che dovrebbe incoraggiarli.