venerdì 8 gennaio 2016

Corriere 8.1.16
«Il crollo? La fiducia che non c’è più E troppi errori del governo centrale»
Hu (Primavera Capital): pesa l’incapacità di Pechino di comunicare le sue scelte
intervista di Giuliana Ferraino


Vista da Shanghai, epicentro del nuovo terremoto che ha scosso un’altra volta le Borse mondiali, la questione cinese fa meno paura. Più che nell’economia le origini delle turbolenze sono infatti da rintracciare negli errori tattici del governo di Pechino e nella sua incapacità di comunicare adeguatamente al mercato, sostiene Fred Hu, che parla (al telefono dalla capitale finanziaria cinese) non solo da investitore importante ma anche da economista. Hu, 52 anni, master in ingegneria all’università di Tsinghua e PhD in economia all’Università di Harvard, è stato economista al Fondo monetario internazionale, e poi presidente e partner di Goldman Sachs in Cina, mettendo a segno alcune delle operazioni più redditizie nella storia della banca di Wall Street. Nel 2010 ha fondato Primavera Capital, la più grande società di investimenti privata in Cina, il cui nome italiano deriva dalla passione di Hu per la cultura, la storia, l’arte (la Primavera del Botticelli è uno dei suoi quadri preferiti) e la cucina italiana.
Signor Hu, che cosa sta succedendo sul mercato cinese, che a catena fa cadere i listini mondiali?
«C’è soprattutto una mancanza di fiducia. Dall’estate scorsa gli investitori hanno perso fiducia e il governo di Pechino ha compiuto una serie di errori tattici che hanno peggiorato le cose. Per esempio l’introduzione del sistema dei circuit breakers (interruttori) in questo momento particolare».
Perché i circuit breakers sono una cattiva idea?
«Gli Stati Uniti usano già questo sistema, ma in Cina si potrebbe argomentare che è ridondante visto che se un titolo cade del 10% improvvisamente, viene sospeso. Introdurre un tale sistema in un momento così delicato e fragile tradisce una certa mancanza di fiducia del governo».
Il listino di Shanghai ha perso il 7% in 29 minuti: è panic selling ?
«Sì, è una questione di aspettative e fiducia e il comportamento erratico del governo cinese non ha aiutato».
E’ stato riferito da alcuni osservatori che la People Bank of China, la banca centrale cinese, dall’inizio della settimana fa ricorso alle sue immense riserve per controllare il deprezzamento dello yuan, cercando di evitare una caduta troppo rapida. Crede che il governatore Zhou Xiaochuan continuerà a intervenire per gestire la svalutazione della moneta?
«Il renminbi è stato storicamente una valuta molto forte e il suo deprezzamento finora è molto modesto, non c’è nessun motivo per farsi prendere dal panico. L’intervento della banca centrale cinese non ha nessun senso. E’ contro il suo obiettivo dichiarato di un tasso di cambio maggiormente determinato dal mercato. Più interviene, più fa danni».
Pensa che lo yuan si svaluterà ancora? E quanto?
«Nell’immediato e nel breve termine probabilmente continuerà a indebolirsi. Ma non sarà un crollo. La Cina continua ad avere una delle posizioni esterne più robuste al mondo. Il sentiment ribassista verso lo yuan è eccessivo».
In Occidente gli economisti legano l’enorme volatilità sui mercati al rallentamento dell’economia cinese, che spaventerebbe gli investitori globali portando a vendite massicce sui listini globali. E vista da Shanghai?
«E’ vero che l’economia cinese deve affrontare molte sfide e ci saranno aggiustamenti nella transizione dal settore manifatturiero a quello dei servizi come motore della crescita, ma questo sta accadendo e in generale è un cambiamento molto sano».
E allora perché tanto panico sui mercati?
«Vi è stata scarsa comunicazione: i cinesi non sanno che cosa sta succedendo e i massicci interventi da parte del governo di Pechino li spaventano. La comunicazione inadeguata è la questione chiave. Il governo dovrebbe rimanere freddo e i mercati da soli troveranno il proprio equilibrio. E’ molto difficile frenare le forze che agiscono sui mercati».
Quanto ci vorrà per stabilizzare i mercati?
«Dipende. A causa dell’intervento del governo il comportamento irrazionale resterà più a lungo».
Pensa che le turbolenze sui mercati causati dalla Cina influenzeranno la politica monetaria della Federal Reserve, dopo che la banca centrale Usa a dicembre è tornata a rialzare i tassi di interesse, intorno a zero dal dicembre 2008?
«Ne dubito. Le decisioni della Fed sono guidate in primo luogo dalle considerazioni sulle condizioni di salute dell’economia americana, anche se cercheranno di incorporare quello che sta succedendo intorno al mondo, Cina inclusa».