mercoledì 6 gennaio 2016

La Stampa 6.1.16
Il ritorno della questione cattolica
di Marcello Sorgi


Il tema delle unioni civili, come quello dei matrimoni gay, ha diviso tutti i Paesi in cui s’è arrivati a una regolamentazione per legge, dall’America all’Europa. Era inevitabile dunque che accadesse in Italia, ora che anche qui è arrivato il momento delle decisioni, e dopo tanti rinvii Renzi punta all’approvazione del testo in discussione in Parlamento in tempi brevi o brevissimi, prima della campagna elettorale per le amministrative.
Era altrettanto scontato che tutto ciò avrebbe riacceso le polemiche, non solo all’interno della maggioranza di governo, dove il principale alleato del Pd, il Nuovo centrodestra, più sensibile alla campagna contraria condotta dalla Conferenza dei vescovi italiani, e dichiaratamente contrario al diritto, all’interno delle unioni omosessuali, di adozione del figlio (nato o in prospettiva concepito artificialmente) di uno dei membri della coppia, da parte dell’altro o dell’altra. Ma anche dentro lo stesso Partito democratico, che sconta perplessità simili nella sua componente cattolica.
Era meno prevedibile, invece, che divergenze affiorassero anche a livello istituzionale, con timori, su cui circolano voci senza conferme da parte del Quirinale, per una legge che, come tutte quelle approvate in Parlamento, toccherebbe poi al Capo dello Stato firmare e promulgare, o rinviare alle Camere per un nuovo esame.
In passato, anche di recente, nel 2006 ai tempi dell’ultimo governo Prodi - in cui ministro della Famiglia era l’attuale presidente della commissione antimafia Rosi Bindi, cattolica, ma favorevole alle unioni civili -, i rischi di una rottura interna alla coalizione di centrosinistra portarono all’accantonamento del problema. Stavolta la volontà di trovare una soluzione legislativa è prevalente, perché la pressione della società civile, e in particolare delle associazioni gay, è diventata più forte, l’Italia è rimasta tra i Paesi attardatisi troppo in materia, ed esiste in Parlamento uno schieramento che molti scommettono uscirebbe vincitore nel confronto con quello dei frenatori.
Oltre alla maggior parte dei gruppi parlamentari del Pd e della sinistra radicale, il partito trasversale pro-unioni civili si allarga a un pezzo di centrodestra, compreso Berlusconi, pronunciatosi seppure con ripensamenti, a favore delle unioni gay, e arriva al Movimento 5 stelle, favorevole quasi in blocco anche al diritto alle adozioni. L’iter parlamentare si trascina da mesi. Ma a questo punto basterebbe lasciare libertà di coscienza ai parlamentari e mettere ai voti gli emendamenti, moderati o radicali che siano, per ritrovarsi con la legge approvata. Renzi, certo, correrebbe dei rischi a forzare con una parte della sua maggioranza, stringendo al contempo la mano al M5s. Ma come s’è visto qualche settimana fa - con l’inedita alleanza Pd-5 stelle, che finalmente ha portato a casa l’elezione di tre giudici costituzionali, dopo più di trenta votazioni a vuoto delle Camere riunite -, con Grillo le convergenze sono occasionali, senza sbocchi successivi. Alla fine il Parlamento è sovrano, e le ferite politiche si aprono e si rimarginano in poco tempo.
La questione cattolica - intesa come legittima riserva dei credenti, non tutti, su una legge considerata a rischio per il futuro delle famiglie - tuttavia non va trascurata, anche se si pone in termini diversi. Non siamo a dieci anni fa, quando un premier cattolico come Prodi preferì archiviare il dossier per non mettere sotto stress la sua assai traballante coalizione. E neppure a quarantasei anni fa, quando nel ’70 la legge sul divorzio fu approvata a dispetto della Dc, che rappresentava ancora il partito di maggioranza relativa (e promosse subito dopo, perdendolo, il primo referendum abrogativo), e dell’allora presidente del Consiglio democristiano Giovanni Leone, che si dimise per non contribuire con la sua firma ad aprire la strada allo scioglimento legittimo dei matrimoni. Oggi Renzi, cattolico anche lui, al contrario dei suoi predecessori che in materia di valori scelsero di fare un passo indietro, laicamente considera obiettivo del suo governo, al pari delle altre riforme, riconoscere i diritti delle coppie non sposate, e segnatamente di quelle omosessuali. Quanto a Mattarella, non parla: per il modo che ha di intendere il suo ruolo, eserciterà riservatamente la sua moral suasion, se lo ritiene, e interverrà, se lo giudicherà necessario, solo dopo l’approvazione della legge, e soltanto nel caso in cui il testo solleciti qualche dubbio. Governo e Parlamento sono insomma pienamente liberi di decidere su un tema così delicato.
Una ragione di più per non trascurare un aspetto importante. Una legge come questa, chiamata a regolare, non solo i diritti delle coppie di fatto, ma anche quelli dei figli, e perfino, secondo le interpretazioni più contestate, dei nascituri, va scritta con grande attenzione: valutandone bene, fino in fondo, i confini, le implicazioni e le conseguenze, e facendo in modo che il testo approvato non si risolva in un collage di incisi e rammendi, usciti, come purtroppo accade spesso, da una serie infinita di votazioni contrapposte. Non è un compito tecnico. È altamente politico, e va svolto nel migliore dei modi. Se lo aspettano, non solo i cattolici, la cui coscienza è di nuovo messa alla prova. Ma proprio i cittadini in attesa dell’eguaglianza e dei diritti negati loro da troppo tempo.