La Stampa 6.1.16
Meno di 500 nascite all’anno?
Il governo chiude le maternità
Il ministro della Salute Lorenzin nega la deroga ai piccoli centri ospedalieri “Non si possono lasciare le donne e i bambini in strutture inadatte”
di Alessandro Mondo
Nessuna trattativa a scapito dell’incolumità delle partorienti e dei bambini. E’, in sintesi, la risposta del ministro della Salute ai sindaci siciliani che avevano chiesto una deroga per il punto nascite di Petralia Sottana, destinato a chiudere perchè sottosoglia in termini di sicurezza: 128 parti l’anno contro i 500 necessari, come minimo, per continuare l’attività (ma dal Ministero precisano che il numero ottimale sarebbe mille).
Regioni in ritardo
Posizione netta, quella di Beatrice Lorenzin, rafforzata dal ritardo delle Regioni nel completare la riorganizzazione dei punti nascite in base ai volumi di attività (tra gli obiettivi anche la riduzione dei cesarei): promossa dal 2010, attraverso il Comitato Percorso Nascita nazionale, trascinatasi negli anni tra resistenze e campanilismi, rilanciata nel 2014 con un decreto integrativo che prevede deroghe alla chiusura solo in casi eccezionali - la distanza e quindi la difficoltà dei collegamenti per alcune isole e Comuni montani, la fusione con i punti nascita di altri Comuni o l’«attrattività» verso le donne dei paesi limitrofi - e a fronte di precise compensazioni (ad esempio un servizio di elisoccorso operativo h. 24). In tutti gli altri casi, a fare la differenza tra la sopravvivenza o meno di un punto nascite sono tre fattori: almeno 500 parti annui, la disponibilità h.24 di ginecologi, pediatri neonatologi e ostetriche, la presenza a corto raggio di un servizio di terapia intensiva neonatale e subintensiva per le madri.
La linea dello Stato
Da qui lo «stop» del ministro: scaduti i termini per le proroghe, fronteggia una nuova levata di scudi da parte di Comuni altrettanto pronti nel beccarsi tra loro. «La vita di una donna e del suo bambino non possono essere lasciate in mano alla disorganizzazione di strutture con personale generoso e attento ma numericamente insufficiente, privo di strumenti per la diagnostica, con aperture part-time», ribadisce la Lorenzin. Semmai, aggiunge, «sta alle Regioni dotare la loro territoriale di centri efficienti»: ambulanze ed elicotteri, migliore distribuzione degli organici e nuovi concorsi per potenziare il personale h.24. E all’assessore regionale alla Salute della Regione Sicilia Baldo Gucciardi, secondo il quale nel confronto tra i punti nascita sottosoglia sul totale la Sicilia si colloca al di sotto di Emilia, Toscana, Veneto e Lazio, il Ministero ricorda come la popolazione di quelle regioni sia superiore.
Tutti contro tutti
Insorgono i sindaci di Petralia e Santo Stefano Quisquina. L’Anci Sicilia chiede l’apertura di un tavolo con il Ministero. Marco Giorgianni, sindaco di Lipari (punto nascite destinato alla chiusura) più che con Roma se la prende con il piano sanitario regionale: «Non prevede fondi per aumentare il personale». Non solo la Sicilia. Tensioni anche in Piemonte, dove lo stop a quello dell’ospedale di Susa (132 parti nel 2014) ha scatenato la sollevazione: braccio di ferro tra enti locali e Regione, sulla chiusura dei punti-nascite di Domodossola, Verbania, Casale, Borgosesia. In altri casi si eccede per zelo: le Marche chiudono il punto nascita di San Severino, anche se dista 76 chilometri da Macerata ed effettua 570 parti l’anno.