La Stampa 4.1.16
L’incubo della guerra Iran-Arabia
L’esecuzione del leader sciita Nimr al Nimr innesca lo scontro fra le due potenze regionali
I sauditi rompono le relazioni diplomatiche dopo che Teheran li accusa di essere come l’Isis
di Giordano Stabile
La Guida suprema iraniana Ali Khameni invoca una «vendetta divina» contro l’Arabia Saudita, colpevole di aver giustiziato l’oppositore religioso sciita Nimr al Nimr. Riad risponde alla «clamorosa interferenza» e accusa a sua volta Teheran di essere «sponsor del terrore». Poi rompe le relazioni diplomatiche e ritira il personale diplomatico dall’Iran. Lo scontro è ormai al culmine. Sul Golfo soffiano come mai negli ultimi anni venti inquietanti di guerra. L’intera regione è in subbuglio, spaccata lungo direttrici geopolitiche e religiose. L’Iraq, diviso a metà fra sciiti e sunniti e confinante con entrambe le potenze rivali, rischia di esplodere e destabilizzare ancora di più la regione. Un rischio che è stato sottolineato anche dagli Usa. Ben Rhodes, vice consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, ha chiesto «moderazione» sul fronte del rispetto dei diritti umani: «Vogliamo anche vedere che l’Arabia Saudita riduca le tensioni nella regione». Non è servito. Qualche ora dopo infatti Riad alza il tiro. Annunciando il ritiro del personale diplomatico prima di dichiarare rotte le relazioni con il Paese rivale.
Scontro violento
L’accusa di terrorismo e di deviazione va al cuore della disputa fra il Paese leader dei sunniti e quello degli sciiti. Khamenei nella sua seconda durissima condanna, dopo quella di sabato, ha rimarcato ieri che Al Nimr non aveva «né incitato alla violenza né complottato contro il governo», due crimini esplicitamente citati nel Corano e attribuiti ai «takfiri».
La condanna di Khamenei è politica e religiosa: «Il sangue di questo martire versato ingiustamente mostrerà presto le sue conseguenze e la vendetta divina si abbatterà sui politici sauditi». La guida suprema, sul suo sito ha anche paragonato Riad all’Isis mostrando due mezze figure di boia affiancate, uno vestito di bianco come i sauditi, l’altro di nero come i miliziani dell’Isis. Il tutto attraversato da una domanda «Quale la differenza?». Inoltre il consiglio municipale di Teheran ha approvato la proposta di intitolare allo sceicco giustiziato una strada della capitale.
Più esplicita la potente congregazione degli studiosi di Qom che annuncia «il crollo delle fondamenta illegittime della casa dei Saud».
La strage di pellegrini iraniani nella ressa alla Mecca alla colonne della lapidazione del diavolo, le guerre fra sciiti e sunniti in Siria, Iraq, Yemen hanno portato la competizione sul piano militare. Riad e Teheran si accusano a vicenda di essere «terroristi». E per il ministero degli Esteri saudita «il regime iraniano è l’ultimo regime al mondo che può accusare gli altri, è uno Stato che sponsorizza il terrore», vale a dire milizie sciite e partiti con un’ala militare come Hezbollah.
La difesa saudita
Riad fa notare che tra i 47 «terroristi» giustiziati sabato c’erano anche sunniti e militanti di Al Qaeda, come Adel al Dhubaiti, l’autore dell’attacco nel giugno 2004 contro il giornalista della Bbc Frank Gardner, rimasto paralizzato. La guida spirituale e politica dell’Iraq, il Gran Ayatollah Ali al Sistani, di origine iraniana, è intervenuto contro «l’ingiusto e aggressivo» spargimento di sangue di sciiti. «Scioccato e amareggiato» è invece il premier Haider Al Abadi.