La Stampa 4.1.16
Una scintilla nello scontro fra tribù
di Maurizio Molinari
La decisione dell’Arabia Saudita di rompere le relazioni diplomatiche con l’Iran porta il conflitto fra sunniti e sciiti sull’orlo del precipizio. L’esecuzione dell’imam sciita Nimr al-Nimr da parte di Riad e l’assalto con le molotov all’ambasciata saudita a Teheran avvicinano i due giganti del Golfo a un confronto diretto per l’egemonia su un Medio Oriente segnato dal domino dell’implosione degli Stati arabi. Ayatollah iraniani e sceicchi sauditi già duellano, più o meno direttamente, in Siria, Yemen, Iraq, Libano e Bahrein sullo sfondo di uno scontro nutrito da una rivalità religiosa che risale alla disputa sulla successione a Maometto.
Entrambi i fronti parlano di «Jihad» contro l’avversario perché in gioco c’è la guida dell’Islam. Il linguaggio che adoperano evoca gli scontri tribali. Ali Khamenei, Leader Supremo dell’Iran, promette «vendetta divina» mentre Riad giustifica l’esecuzione di al-Nimr citando il verso del Corano su «crocefissioni e taglio delle gambe» per gli apostati. Con le navi da guerra dei due Paesi schierate a breve distanza nelle acque del Golfo e i rispettivi contingenti in stato d’allerta da molti mesi, il rischio di una scintilla è divenuto reale, trasmettendo nelle capitali del Medio Oriente la percezione che siamo entrati in una nuova fase. E’ l’Arabia Saudita di re Salman a guidare l’escalation in corso perché percepisce che è l’Iran di Hassan Rouhani ad avere il vento a favore grazie all’alleanza militare con la Russia di Vladimir Putin in Siria, all’accordo con la comunità internazionale che legittima il proprio programma nucleare ed alla crescente intesa con l’America di Barack Obama, testimoniata dalla decisione americana di rinviare le sanzioni a Teheran per i recenti test missilistici che hanno violato proprio le intese di Vienna. Per avere un’idea dell’atmosfera che regna a Riad bisogna guardare a cosa sta avvenendo nelle capitali degli alleati sunniti più stretti. Dal Cairo Said Allawndi, voce di spicco del Centro di studi strategici di «Al Ahram», afferma che «l’Iran è diventato uno strumento degli Stati Uniti intenzionati a destabilizzare l’intero mondo arabo» paventando dunque un complotto internazionale contro i sunniti. Da Ankara il presidente turco Recep Tayyip Erdogan afferma che «in questo momento abbiamo bisogno anche di Israele», ovvero anche di un Paese finora definito «diabolico», visto che incombe lo scontro con gli sciiti. La creazione di una coalizione militare sunnita, composta di 34 Stati, per contrastare l’alleanza pan-sciita guidata dall’Iran trasforma il momento della rottura delle relazioni iraniano-saudita nella genesi di un nuovo spartiacque fra opposti schieramenti che si estendono su un potenziale campo di battaglia di oltre 9000 km, dai confini del Marocco a quelli del Pakistan.