lunedì 4 gennaio 2016

La Stampa 4.1.16
L’imbarazzo di Washington divisa tra il vecchio e il nuovo alleato
Gli Usa rompono gli indugi e criticano l’Arabia sui diritti umani
di Paolo Mastrolilli


L’imbarazzo, ma potremmo dire il risentimento degli Stati Uniti per le esecuzioni in Arabia Saudita, sono espliciti per due motivi: primo, le decapitazioni di Riad annullano le critiche di inciviltà rivolte all’Isis, e confermano il sospetto che si tratti della stessa cultura in azione; secondo, l’uccisione dell’imam sciita Al Nimr mette a rischio l’intera architettura diplomatica e strategica con cui Washington sta cercando di riportare la stabilità nella regione, a partire dal negoziato sulla Siria gestito dall’inviato dell’Onu Staffan de Mistura, che in teoria dovrebbe ricominciare il 25 gennaio a Ginevra.
La guerra del greggio
Le reazioni ufficiali rappresentano uno scatto in avanti rispetto alla prudenza usata finora dagli Stati Uniti. Gli Usa non avevano criticato pubblicamente l’Arabia per il caso Nimr, proprio per non esacerbare gli animi, nella speranza che le pressioni private bastassero. Ma come è già accaduto per la guerra sul prezzo del petrolio, che Riad lascia scendere con l’obiettivo di mettere in ginocchio lo shale americano, il regno wahabita ha deciso di non ascoltare. Così il portavoce del dipartimento di Stato, John Kirby, ha scelto di rompere gli indugi: «In precedenza avevamo espresso le nostre preoccupazioni riguardo il processo legale in Arabia, sollevando la questione ai più alti livelli del governo. Ora riaffermiamo le nostre sollecitazioni alle autorità saudite, affinché rispettino e proteggano i diritti umani». Un tono simile a quello scelto da Ben Rhodes, vice Consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca: «Invitiamo a mostrare moderazione sul fronte del rispetto dei diritti umani». La traduzione dal linguaggio diplomatico è chiara: diventa difficile accusare l’Isis di inciviltà e crudeltà, quando poi il nostro alleato chiave nella regione usa gli stessi metodi. Non a caso, sul sito del leader supremo iraniano Khamenei sono apparse le immagini delle decapitazioni del Califfo e di Riad, con sotto la scritta: «Dov’è la differenza?». Tutto questo per confermare i sospetti che l’Isis in realtà sia stato creato proprio dall’Arabia, come strumento nella resa dei conti epocale in corso fra sunniti e sciiti.
Anche la seconda parte delle dichiarazioni di Kirby e Rhodes è molto significativa. «Siamo particolarmente preoccupati - ha detto il portavoce del dipartimento di Stato - che l’esecuzione di Nimr esacerbi le tensioni settarie, in un momento in cui bisogna urgentemente ridurle. Reiteriamo la necessità che i leader regionali raddoppino gli sforzi finalizzati a calmarle». Ancora più chiaro il collega della Casa Bianca: «Vogliamo vedere che l’Arabia Saudita riduca le tensioni nella regione».
Gli accordi Sykes-Picot
Washington sa bene che l’era degli accordi Sykes-Picot, con cui durante la Prima Guerra Mondiale Gran Bretagna e Francia avevano ridisegnato il Medio Oriente, è finita. Arabia e Iran si stanno sfidando per il dominio regionale, con una guerra tra sunniti e sciiti che si svolge su vari fronti: Siria e Iraq, ma anche Yemen, Libano e altri Paesi. Teheran appoggia Assad anche attraverso Hezbollah, e i sunniti del Golfo hanno risposto anche con l’Isis, su cui la Turchia ha quanto meno chiuso un occhio.
Il caos iracheno che ha permesso al Califfato di espandersi sul suo territorio è dipeso proprio dalla politica miope dell’ex premier sciita Maliki, alleato dell’Iran, che ha emarginato i sunniti nella loro stessa regione di al Anbar. Obama ha sperato che l’accordo nucleare con l’Iran servisse a favorire una ricomposizione, e magari l’avvio di un dialogo con l’Arabia per ridefinire le influenze regionali, a partire dai colloqui sulla Siria in programma il 25 gennaio. Ma chi punta sul caos, come aveva avvertito sul nostro giornale proprio de Mistura, sta tentando l’offensiva per far saltare tutto.