sabato 30 gennaio 2016

La Stampa 30.1.16
Matteo fa lo splendido dissimulatore dinanzi agli sguardi di pietra di Angela
Lui la chiama per nome, lei ha l’aria da “la ricreazione è finita”
di Mattia Feltri

Si vorrebbe tanto essere collezionisti di sorrisi, di smorfiette, di cere deliziosamente stupefatte, e cioè dell’intero catalogo espressivo di Angela Merkel: essenzialmente il catalogo delle fasi preliminari, quando sembra prorompere un ingenuo calore da zia coccolosa. La pettinatura da mugnaia del Seicento aiuta, l’abbigliamento pure, ieri la cancelliera era la teoria completa di grigi e antracite e blu di Prussia, ton sur ton, mancava soltanto la borsetta con manico di catena dorata, e in tinta era il collier magari preziosissimo - dichiariamo incompetenza sulla materia - ma potevano anche essere pietre fluviali da mercatino della bigiotteria. Era andata allo stesso modo a Silvio Berlusconi, quando fece cucù a Merkel a Trieste, e lei si girò col faccino rubizzo alpestre, confusa e felice, e andò incontro al presidente del Consiglio pensando, presumiamo, «tanto ormai duri poco, vecchio rimbambito».
Guardatevi le foto di ieri, il momento in cui Matteo Renzi e la signora fanno ingresso nel palazzo della Cancelleria di Berlino e, mentre lui le parla, lei tira fuori quella boccuccia di ragazza che così poco sa del mondo, e così tanto ne è strabiliata. Poi i vertici finiscono, e la trasfigurazione di Merkel è completata, quella degli interlocutori altrettanto: lei ha adesso il volto di una che ha fatto quello che si doveva fare, col massimo della rettitudine, e l’altro ha perso qualsiasi slancio conviviale. Enrico Letta e Mario Monti avevano persino un’aria tumefatta; Renzi no, non è il tipo, ha una considerazione di sé che gli impedisce di essere contrito e scosso. Splendido dissimulatore, fuoriclasse nel parlare a braccio, anche ieri se l’è giocata da ganzo di Rignano, uno che gira l’Europa con le mani in tasca (metaforicamente). Chiama Angela per nome, «Anghela». «L’ho detto ad Angela». «Non lo dico perché c’è Anghela». «Lo sa anche Anghela». Spunta anche un François (Hollande), «Anghela e Fransuà». E nonostante lei, figuriamoci, neanche un Matteo, neanche un «presidente del Consiglio», soltanto «Italia», «sono entusiasta delle riforme fatte dall’Italia», «il ruolo dell’Italia», «l’importanza dell’Italia», una serie di elogi accompagnata da sguardi ormai quasi ringhiosi e, se ringhiosi è troppo, diciamo da ricreazione finita.
Per arrivare al dunque, si potrà avere di Renzi qualsiasi opinione, anche la peggiore, ma è difficile non provare un pochino di soddisfazione nel vedere il capo del governo che non cerca di turlupinare la cancelliera con carnevalate berlusconiane, e nemmeno che cerca di impietosirla con gli occhi da randagio di successivi titolari di Palazzo Chigi. Renzi invece girava armato, magari erano armi da parolaio, da sponsor molto inebriato di se stesso, ma non si è presentato in conferenza stampa con l’attitudine del suddito o del giullare, si è rivolto all’opinione pubblica tedesca per rassicurarla che l’Italia si muove, e non fa quello che le chiedono, fa quello che le conviene fare. Certo, intanto Merkel lo guardava con occhi di pietra, e che cosa stesse pensando lo sa solo lei.