La Stampa 27.1.16
Sottomissione
di Massimo Gramellini
I
geni del cerimoniale che hanno inscatolato quattro statue peraltro
velate del museo Capitolino nel timore che, vedendole, il presidente
iraniano Rohani avesse uno sgomento ormonale e stracciasse i contratti
con le nostre aziende sono i degni eredi di un certo modo di essere
italiani: senza dignità. Quella vocazione a trattare l’ospite come se
fosse un padrone. A fare i tedeschi con i tedeschi, gli iraniani con gli
iraniani e gli esquimesi con gli esquimesi. A chiamare «rispetto» la
smania tipica dei servi di compiacere chi li spaventa e si accingono a
fregare. Su questa tradizione millenaria, figlia di mille invasioni e
battaglie perdute anche con la propria coscienza, si innesta il tema
modernissimo del comportamento asimmetrico con gli Stati musulmani. Se
un’italiana va in Iran, si copre giustamente la testa. Se un iraniano
viene in Italia, gli copriamo ingiustamente le statue. In un modo o
nell’altro - in un mondo e nell’altro - a coprirci siamo sempre noi. E
la suscettibilità da non urtare è sempre la loro. Ma se la presenza di
donne sigillate da capo a piedi su un vialone di Baghdad urtasse la mia,
di suscettibilità? Non credo che, per rispetto nei miei confronti, gli
ayatollah consentirebbero loro di mettersi la minigonna.