mercoledì 27 gennaio 2016

Corriere 27.1.16
Verdini e il no alla sfiducia
La minoranza Pd attacca per poi blandirlo su altri voti
Al Senato la mozione sul caso banche tra accuse e manovre
di Francesco Verderami

ROMA Più che temere oggi la sfiducia del Senato, Renzi dovrà recuperare venerdì la fiducia della Merkel: è la crisi dell’Europa che rischia di mandare in crisi il suo governo, non la mozione delle opposizioni che si uniscono per chiedere ciò che sanno di non poter ottenere. Ma da Forza Italia a Sel, passando per i grillini, è chiaro il gioco: l’obiettivo non è solo continuare a tener desta l’attenzione del Paese sulla «gestione familistica» delle banche da parte di Palazzo Chigi. L’intento è anche quello di sottolineare il progressivo avvicinamento di Verdini a Renzi, con un sostanziale cambio di maggioranza. È una sorta di contro-narrazione, serve a sostituire l’immagine da innovatore del premier, per appiccicargli l’etichetta del trasformista.
C’è un motivo quindi se la minoranza del Pd sfrutta la manovra politica, e denuncia a sua volta la mutazione genetica dell’esecutivo: vuole mettere all’indice il leader dem davanti all’elettorato di sinistra. L’abbordaggio del gruppo Ala al premier — l’«avvinghiamento», come lo definisce il bersaniano Gotor — ormai è plastico: si consumerà nel pomeriggio, quando i verdiniani voteranno contro la mozione di sfiducia presentata dai forzisti. È vero che formalmente non si tratta di un voto di fiducia, ma è altrettanto vero che stavolta non sono in ballo le riforme costituzionali bensì un atto del governo, un suo decreto. D’altronde l’ex braccio destro di Berlusconi non nasconde i propri piani: sta preparandosi a chiedere un ruolo dopo il referendum, perché vorrà sedersi al tavolo dei vincitori se la consultazione popolare avrà successo.
Così l’opposizione democrat fa di Ala uno strumento di battaglia interna, arrivando a chiedere al premier un «chiarimento» in Parlamento. Non è casuale che ad avanzare la richiesta sia l’ex capogruppo Speranza, futuro avversario di Renzi alle primarie del partito, così come non è casuale il suo riferimento al fatto che «ogni qualvolta Verdini vota con noi il Pd ci rimette»: sarà uno dei capi di accusa che verranno formulati contro il segretario in caso di sconfitta alle Amministrative, e magari sarà uno dei motivi che indurranno la minoranza democratica a disertare la battaglia referendaria. È la «scazzottata» che evoca Bersani quando parla di Verdini e pensa a Renzi, parte dall’idea che vada salvaguardato il Pd da una forma di «inquinamento politico», provocato dai centristi.
Le continue allusioni sono state tema di discussione a un vertice di Ncd, durante il quale Alfano si è lasciato andare: «La sinistra Pd si lamenta di noi ma se stanno ancora in Parlamento è solo grazie al fatto che sosteniamo il governo. Eppoi, con questa storia che vorremmo fare il Partito della nazione con Renzi... Finisce che ci chiameremo noi Partito della nazione». Nel conflitto con il loro segretario, emerge in effetti la strumentalità della polemica della minoranza dem verso gli alleati di governo, perché non si tiene conto di una questione che impedisce la nascita di una nuova forza per effetto di una fusione: l’appartenenza di Renzi al Pse è una discriminante per chi fa parte della famiglia Popolare in Europa.
Verdini è più prosaico, e se la ride. In fondo, è un politico sui generis. Perché se è vero che l’opposizione renziana lo addita per i suoi voti di sostegno al premier, poi lo blandisce per chiedere i suoi stessi voti a sostegno della stepchild adoption. Da acerrimo avversario pubblico negli scontri ideologici, si trasforma così in compagno di strada quando — nelle telefonate riservate — si cercano i numeri in vista delle votazioni a scrutinio segreto sulle Unioni civili. Verdini insomma è il primo caso politico di «adozione a distanza», alleato prêt-à-porter, ideale per maggioranze a la carte. Se non fosse che le carte preferisce darle lui.
Ecco cosa si consumerà oggi al Senato: il gioco delle parti tra i partiti di opposizione e l’opposizione interna di un partito. Tutti pronti a citare Verdini come emblema del peggior vizio parlamentare, perché tutti coalizzati contro Renzi. In realtà il premier è debole in Europa non nel Palazzo, dove anche i tosiani — prossimi ad allearsi con i centristi — voteranno contro la mozione di sfiducia. Ma non è a Roma che Renzi deve (ri)conquistarsi la fiducia...