La Stampa 27.1.16
Due leader alla sfida contro i falchi a colpi di carisma, coraggio e dialogo
Hanno agende diverse ma molti tratti e gesti in comune
di Marcello Sorgi
Così
lontani, eppure così vicini: la prima cosa da pensare, guardando Papa
Francesco e Hassan Rohani alla fine del loro incontro – quaranta minuti
circondati dalla tradizionale riservatezza delle stanze vaticane –, è
che politicamente, e non solo, molte cose li dividono, ma quelle che
personalmente li accomunano sono più importanti.
Bergoglio e il
religioso islamico sciita, eletto quasi tre anni fa presidente dell’Iran
con una maggioranza assai risicata (50,7 per cento), sono infatti, nei
rispettivi campi, due colombe, in lotta contro nutrite truppe di falchi
che provano in ogni momento a sbarrargli la strada. Papa Francesco, dopo
aver dichiarato pubblicamente fin dal giorno dopo la sua elezione dove
intende portare la Chiesa - verso una maggiore apertura alla società
contemporanea, accanto ai poveri ma anche a quelli che soffrono per
diverse ragioni l’emarginazione – deve fare i conti tutti i giorni con
la resistenza di parte della Gerarchia, si tratti del Sinodo sulla
famiglia per concedere la comunione ai divorziati, o delle unioni civili
che stanno per essere regolamentate dal vicino Parlamento italiano.
Quanto a Rohani, successore del delirante Ahmadinejad, che negava
l’Olocausto e minacciava di bombardare Israele con missili a testata
nucleare, può spingersi fino a un certo punto, e con cautela, sulla
strada della rottura con il recente passato del suo paese, che ancora ha
forti radici in metà del popolo iraniano che non lo ha votato.
Inseguiti
entrambi, nei loro contesti, dai conservatori, i due hanno un indubbio
punto di forza nel carisma (più forte, e fondato su una retorica dolce,
quello di Francesco; improntato a durezza quello di Rohani). Sono basate
su questo la volontà e la capacità di confrontarsi, anche a dispetto
delle ragioni che gli sono state opposte (a cominciare, per quanto ci
riguarda, dal rispetto ancora assai carente dei diritti civili in Iran).
Parola-chiave
della diplomazia cattolica fin dai tempi del Concilio Vaticano II, il
dialogo è un metodo che va approfondito, prima di giudicare
l’opportunità o meno dell’attenzione riservata al presidente iraniano
oltre il Portone di Bronzo.
La Chiesa, infatti, dialoga con tutti;
lo ha fatto anche con il comunismo ateo per tutti gli anni della Guerra
Fredda. C’è una tradizionale Ost-politik, che parte dai tempi in cui -
metà ambasciatori e metà agenti segreti - il cardinale Casaroli e il suo
vice Silvestrini, fin dagli Anni Cinquanta e Sessanta, approdavano a
Mosca, a Praga o a Varsavia, vestiti in abiti borghesi e con passaporti
falsi, per cercare di aprire una breccia nell’epoca dei muri ancora
alti. Ed è la stessa che arriva al disgelo tra Obama e Castro, voluto da
Francesco, e al segretario di Stato Parolin, allievo della stessa
scuola, che già un anno fa va a perorare in Usa la causa dell’Iran.
Una
forma di continuità tra l’invito a Rohani dopo la fine delle sanzioni
dell’Occidente all’Iran e l’arrivo di Gorbaciov, all’indomani della
caduta del Muro di Berlino, in Vaticano da Papa Woijtyla, per recarsi
insieme il giorno dopo ad Assisi.
La stessa Assisi in cui, tre
anni prima, nel 1986, Giovanni Paolo II chiamava a pregare uniti
esponenti di tutte le religioni del mondo. Scelte seguite, inutile
nasconderlo, da un mormorio di fondo della Chiesa più conservatrice, da
accuse di “sincretismo”: come se il Papa non si rendesse conto del
rischio di confondersi in qualcosa di indistinto, allontanandosi dalla
parola del proprio Dio.
Più che nei molti incontri economici e nei
contratti firmati a Roma dal presidente iraniano, venuto in Italia più
da uomo d’affari che da religioso e da capo di Stato, il senso politico
di questo viaggio va ricercato, dunque, nella visita in Vaticano, e
nell’invocazione fatta da Rohani durante l’incontro, affinché il Papa
preghi per lui.
Francesco, in altre parole, abbandonando un’altra
volta la cautela che sempre gli viene raccomandata, e ricevendo Rohani
con grande umiltà, ha voluto dirci semplicemente che dopo l’epoca dei
conflitti di inizio secolo, a causa del terrorismo di matrice islamica, è
cominciata una nuova guerra fredda, sanguinosa né più né meno di quella
combattuta per quarant’anni nel Novecento.
Per togliere il
pretesto della religione a quelli che vogliono uccidere in nome di Dio,
il Papa non vede altra strada che il coraggio del confronto a viso
aperto e del dialogo a qualsiasi prezzo.