La Stampa 26.1.16
Se la politica dimentica le condanne in Iran
di Mattia Feltri
Soltanto
tre giorni fa qualche centinaio di migliaia di italiani era in piazza
per manifestare a favore dei diritti omosessuali, non ancora
riconosciuti in Italia, non a sufficienza. Si parla con agio di
medioevo, si definiscono trogloditi gli oppositori, ci si infiamma di
sdegno perché sul Pirellone a Milano compare la scritta «Family Day».
Poi arriva in visita ufficiale il presidente iraniano Hassan Rohani (è
arrivato ieri) e tutto questo fermento è già indolenzito nel torpore dei
giorni feriali.
I rutilanti caroselli di sabato sono spenti, la
riprovazione per l’arretratezza culturale italiana è evaporata, non
importa che Rohani sia presidente di una Repubblica islamica nella quale
gli omosessuali vengono impiccati in piazza, appesi alle gru. Ieri
abbiamo aspettato da mattina a sera che qualcuno dicesse qualcosa, in
fondo sono i giorni perfetti, di mobilitazione, di preparativi alla
battaglia parlamentare che forse introdurrà le unioni civili. Ecco il
resoconto: Fabrizio Cicchitto ha espresso soddisfazione per gli sviluppi
dei rapporti economici con l’Iran purché non prevedano «reticenza sulle
libertà»; Maurizio Gasparri si è chiesto dove siano gli inorriditi
dalla tenda di Muhammar Gheddafi piantata a Villa Pamphili; il senatore
Lucio Malan vorrebbe sapere se Matteo Renzi approvi il regime di
Teheran; il più franco è stato Daniele Capezzone: «L’Iran di Rohani è
uno Stato campione mondiale di pena di morte, è uno Stato che tuttora
vuole cancellare Israele dalla faccia della terra, è uno Stato che (al
di là dei recenti accordi) lavora a minacciosi obiettivi nucleari. Che
quasi tutti tacciano su queste realtà la dice lunga sul triste stato del
dibattito politico e civile in Italia. E dopodomani, 27 gennaio, è il
Giorno della memoria...». Quattro voci da destra e fine, mentre la
questione non è parsa interessante a sinistra, né fra le associazioni
più specificamente combattive a favore dei gay. Molte notizie, invece,
sui primi vantaggiosi affari, di un giro totale che è stato stimato in
17 miliardi di euro.
Sono tanti soldi, ce rendiamo conto, ma
bisognerà pur ricordare che pochi anni fa, alla domanda di un ragazzo
americano, l’allora presidente Mahmud Ahmadinejad rispose che la
malattia era debellata, «in Iran non esistono gli omosessuali». Il che è
anche vero, perché appena ne viene scoperto uno si prende cento
frustate (se il rapporto era casto e si pente) oppure viene messo a
morte (se il rapporto era completo). Purtroppo non ci sono statistiche
sulle esecuzioni, perché è capitato che i gay, anche minorenni,
venissero condannati sotto voci più generiche. Gli amanti del dettaglio
troveranno soddisfazione nell’ultimo report di Nessuno tocchi Caino,
associazione della galassia radicale: 980 condanne capitali soltanto nel
2015, soprattutto per traffico di droga e omicidio ma anche per reati
politici e - come detto - di natura sessuale. E poi lapidazioni,
torture, mutilazioni cioè l’intera casistica delle pene inflitte per
dare soddisfazione a Dio. Le ragioni di una così straordinaria
indifferenza sono difficili da comprendere. C’entrerà il rilievo
economico dei patti che si vanno definendo con Teheran; c’entrerà una
certa deferenza verso l’Islam, e il timore di cedere al «noi e loro»;
c’entrerà un incrollabile provincialismo per cui si pensa che quello che
succede nell’altra pagina dell’atlante continui a non riguardarci.
Comunque: stamattina al Pantheon, a Roma, è prevista una manifestazione
della comunità islamica ostile al regime teocratico. In perfetta intesa,
non ci saranno né i partiti (tranne i radicali) né la sempre più mitica
società civile.