Corriere 26.1.16
Le scrittrici iraniane «La scure del censore è più severa che mai»
«La
fine delle sanzioni ha portato un’apertura diplomatica ed economica ma,
al tempo stesso, la scure del censore è più severa che mai: le autorità
si sentono forti e quindi il ministero della Cultura e della Guida
Islamica ha bloccato numerose pubblicazioni. Lì per lì non ce ne
accorgiamo perché le case editrici mandano in stampa parecchi titoli
neutrali per dare l’impressione ci sia una qualche libertà», commenta
Mahsa Mohebali, residente a Teheran e autrice del romanzo «Non ti
preoccupare» (Ponte33, pp. 122, €14). Un libro «la cui ristampa viene
ostacolata pur avendo ricevuto, in passato, il permesso di
pubblicazione. Un fenomeno che ha colpito anche il bestseller “Armonia
notturna” di Reza Ghassemi». Gli escamotage per pubblicare si trovano:
«Gli editori aggirano il divieto riproponendo lo stesso titolo con
l’etichetta dell’ultima edizione permessa».
Di fatto, con la fine
delle sanzioni internazionali, la diplomazia e il business ripartono
mentre la cultura subisce una battuta d’arresto, scrittori e
intellettuali indipendenti, non disposti a scendere a compromessi,
subiscono pressioni affinché la loro voce, adesso che il Paese si sta
aprendo, non raggiunga l’esterno. Autrice del romanzo «Sole a Tehran»
(editpress, pp. 200, €15), Fereshte Sari osserva da vicino la
situazione, ma non vuole tirare conclusioni affrettate perché «si fa
molto rumore per nulla, per giudicare l’effetto della fine delle
sanzioni serve tempo».
Anche lui residente nella capitale
iraniana, il traduttore Giacomo Longhi è ottimista: «In ambito culturale
non vi sono aperture significative, ma per gli iraniani è importante
non essere più esclusi. Le sanzioni hanno avuto effetti pesanti, anche
psicologicamente, perché l’isolamento ha portato a credere che il Paese
fosse un inferno e fuori fosse tutto rose e fiori». Di pari passo,
Longhi ritiene importante che gli italiani si avvicinino alla storia e
alla cultura persiana per poter conoscere il Paese, sfuggendo agli
stereotipi mediatici.
Dello stesso parere l’iranista Anna Vanzan,
che ha tradotto e curato la raccolta «Le rose di Persia: nove racconti
di donne iraniane» (Edizioni lavoro, pp. 128, € 15). «Nella Repubblica
islamica i giovani studiano italiano nelle università pubbliche e
private, si traduce molta più letteratura italiana a Teheran — e penso a
classici come Dante, Calvino, Moravia, Buzzati — di quanto noi non
traduciamo letteratura persiana». La colpa è soprattutto delle grandi
case editrici italiane: «Culturalmente, l’Italia è provinciale, nel
senso che i grandi editori offrono al lettore italiano gli autori
extraeuropei solo dopo il successo consolidato sui mercati anglofoni e
francofoni».