La Stampa 26.1.16
Timori del Pd sulle adozioni
Se non passano c’è un piano B
L’idea: reintrodurre la stepchild alla Camera
di Ilario Lombardo
A
24 ore dall’approdo in aula delle unioni civili, e a quattro giorni dal
Family Day, le certezze si trasformano in dubbi e paure. Dietro
l’ottimismo di facciata di molte dichiarazioni, all’interno del Pd è
forte la preoccupazione che l’articolo più delicato della legge, il
numero 5, quello sulla stepchild adoption, possa essere affossato
durante il voto a scrutinio segreto. Per questo, in una prospettiva
pessimistica, sarebbe già pronto un piano B, sul quale sono informati
anche il ministro Maria Elena Boschi e il premier Matteo Renzi. Mettiamo
che la maggioranza vada sotto sulle adozioni e il testo esca monco dal
Senato: alla Camera, dove ci sono i numeri per votare qualsiasi cosa,
verrebbe reinserita la stepchild costringendo così il ddl, nuovamente
modificato, a tornare in Senato. Ad agosto era stato il premier a
chiedere che le unioni civili venissero votate in un testo blindato dai
soli senatori, in modo da poter accelerare l’approvazione finale – in
una sorta di ratifica - a Montecitorio. Da qui è nata l’idea della
«bicameralina» Pd, per coinvolgere anche i deputati dem nei lavori.
Adesso,
invece, se si realizzasse lo scenario peggiore, le modifiche alla
Camera servirebbero a neutralizzare le intenzioni della fronda cattodem
che sulle adozioni spinge per lo stralcio. Assecondare le posizioni più
conservatrici, a ridosso del voto alle amministrative, e nel pieno
dell’«anno dei diritti», come Renzi ha battezzato il 2016, scoprirebbe
il partito a sinistra, e darebbe ancora più fiato al M5S. Nelle prossime
ore di mediazione si tenterà il tutto e per tutto. Dopo l’ultima
riunione della commissione informale del Pd, oggi è previsto l’incontro
(e forse il voto) dei senatori per compattare il gruppo sull’impianto
della legge. L’orientamento resta quello di arrivare in aula con la
stepchild rinforzata dagli emendamenti di Beppe Lumia che prevedono
maggiore chiarezza sul ruolo del Tribunale dei minori e l’eliminazione
di qualsiasi elemento che possa equiparare le unioni gay al matrimonio.
Ai
cattolici non basta e tentano l’affondo con un’ultima offerta. È
l’emendamento di Giorgio Pagliari, avvocato e professore di Diritto
amministrativo: un affido di due anni prima dell’adozione. Altra
opzione: concederla solo a chi ha avuto una convivenza di almeno tre
anni. Secondo i tecnici del Senato, entrambe le ipotesi conterrebbero
profili di incostituzionalità, per diverso trattamento delle coppie e
perché rischierebbe di creare differenze tra i figli.
Le parole di
ieri del presidente della Cei Angelo Bagnasco e la previsione di una
grande partecipazione al Family Day, hanno comunque dato nuovo coraggio
agli oppositori della legge. Difficile che giovedì passino le
pregiudiziali con cui Lega, Ncd e Forza Italia proveranno a fermare il
testo. E di fronte alla minaccia di un «canguro», per preservare il
dibattito, potrebbero essere sfoltiti i 6 mila emendamenti. Sono
piuttosto le insidie del voto segreto a spaventare il Pd e le
associazioni Lgbt, al punto che l’Arcigay ha lanciato al campagna
«Mettici la faccia» per chiedere lo scrutinio palese, ed evitare che si
consumi la resa dei conti tra i partiti (osservati speciali i grillini).
Il ddl Cirinnà passa soltanto se regge l’asse tra Pd, M5S e Gruppo
Misto, magari con l’aiuto dei verdiniani e di qualche senatore di FI.
Servono 161 sì. Tra i dem si parla di 162-165 favorevoli, ma meglio
restare prudenti e non azzardare cifre ufficiali.