domenica 24 gennaio 2016

La Stampa 24.1.16
“L’evoluzione della nostra società non può fare a meno dell’altruismo”
David S. Wilson sostiene che l’egoismo non è l’unico motore dell’esistenza Lo scienziato americano propone agli economisti di rivalutare la generosità
di Claudio Gallo

Da qualche decennio in Occidente il paradigma individualistico ha cancellato qualsiasi alternativa. In un’intervista del 1986, Margaret Thatcher semplificava con grande efficacia: «La società in quanto tale non esiste. Ci sono individui, uomini e donne, e ci sono le famiglie». La citazione della famiglia era destinata a scolorirsi presto. Come la intendeva lei, era pur sempre l’unità arcaica da cui i filosofi classici fanno nascere la società: nella visione del mondo vittoriosa sarebbe diventata una reliquia, utile soltanto a far presa sull’elettorato più conservatore in tempi di elezioni.
Più facilmente osservabile in politica, lo spirito dei tempi aleggia su tutte le forme del sapere, anche sull’apparentemente asettica scienza. In L’Altruismo. La cultura, la genetica e il benessere degli altri (Bollati Boringhieri, pp. 162, €19,50), il genetista americano David Sloan Wilson sceglie di andare controcorrente, criticando in modo relativamente semplice e divulgativo la concezione maggioritaria.
Wilson insegna in un paio di università americane, è uno dei principali alfieri della teoria della selezione di gruppo (multilivello), una visione che mette in discussione la teoria genocentrica predominante. Il processo di selezione naturale cioè, non avverrebbe soltanto a livello individuale ma anche a livello di gruppo. Con le sue parole: «All’interno di un gruppo l’egoismo batte l’altruismo. I gruppi altruisti battono i gruppi egoisti». La realtà non sarebbe, dunque, solo un conflitto di individui o il misterioso coordinamento di monadi ossessionate dal tornaconto personale, ma una ben più complessa relazione tra il livello individuale e quello sociale, dove l’altruismo diventa cruciale.
Questo modo di pensare lo sviluppo degli organismi viventi mette in crisi l’«individualismo metodologico» che informa i saperi del nostro mondo, in particolare l’economia. Generalizzando, l’attuale motto dei partiti politici occidentali, da destra a sinistra, «non possiamo n
on dirci liberali» ignora un cruciale aspetto evoluzionistico, colto invece dal «sorpassato» socialismo. Ovviamente, una critica simmetrica si applica a un mondo soltanto collettivo, dove l’impulso individuale viene svalutato. Ciò che conta, secondo l’autore, è il rapporto dinamico (dialettico?) tra i due livelli, individuale e sociale, dove l’altruismo mostra la sua efficacia.
Wilson, insieme con alcuni economisti, ha cercato di mettere a punto una sintesi tra la sua concezione dell’evoluzione e la scienza economica. Una visione che rivaluta la generosità. In questa prospettiva Adam Smith avrebbe torto. «Non ci aspettiamo la nostra cena dalla benevolenza del macellaio, del birraio, del fornaio - scriveva il padre del liberalismo nella
Ricchezza delle nazioni - ma dal loro attaccamento al proprio interesse».
La famosa Mano Invisibile (In realtà, l’espressione compare soltanto tre volte nelle opere di Smith), il meccanismo del mercato che compone magicamente gli egoismi individuali in un superiore interesse generale, non avrebbe le basi naturali attribuitegli dai suoi seguaci, ma sarebbe soltanto un mito.
Durante l’evoluzione, ammette Wilson, si è formata nell’uomo una capacità di collaborazione di gruppo in grado di operare senza che gli individui ne siano coscienti. Quindi, una sorta di mano invisibile esiste ma l’evoluzionista contesta che il suo motore inconsapevole sia l’avidità. «L’errore fondamentale - scrive - fu ipotizzare che questo tipo di auto-organizzazione possa derivare dalla semplice nozione di interesse egoistico (…) ci sono volute centinaia, se non addirittura migliaia di anni di evoluzione culturale per selezionare i processi di auto-organizzazione che funzionano, veri e propri aghi nel pagliaio dei processi di auto-organizzazione che non funzionano!».
L’evoluzionismo multilivello di Wilson non è certo la prima critica all’idea di una società «naturalmente» mossa dall’interesse personale. Tra gli antesignani c’è il sociologo francese Marcel Mauss che poneva alla base della convivenza non l’avidità ma il dono, secondo l’antica articolazione di «dare, ricevere e contraccambiare». Le sue idee, aggiornate, guidano oggi la rivista francese M.a.u.s.s. su cui scrivono, tra gli altri, Alain Caillé, Serge Latouche, Jean-Claude Michéa. Lo storico dell’economia Karl Polanyi ricordava in
La Grande Trasformazione
(1944) che la visione della psicologia economica dell’uomo primitivo di Adam Smith è «falsa quanto la psicologia politica roussoviana del selvaggio».
Nel nostro mondo, dove l’iper-velocità di dati ed eventi illimitati è percepita come stagnazione in un eterno presente, la lettura del libro di Wilson è un salutare invito a pensare in modo diverso. Un modo nuovo ma allo stesso tempo antico, come dimostra la sopravvivenza secolare delle grandi religioni.