La Stampa 24.1.16
La voglia di normalità delle famiglie arcobaleno
di Marco Belpoliti
Chissà
se il movimento gay, lesbiche e trans quando ha scelto la bandiera
arcobaleno quale proprio emblema ha pensato alla canzone che canta
Dorothy nel “Mago di Oz”: Over the Rainbow? Probabilmente no.
Questa
bandiera del resto ha già una sua lunga storia; dal movimento hippy
californiano degli Anni Sessanta alle manifestazioni popolari contro la
guerra e per la pace degli Anni Ottanta, sono diversi i gruppi e le
aggregazioni che hanno issato questa sequenza di colori come proprio
stendardo. L’hanno fatto per ricordare che l’arcobaleno è un fenomeno
fisico che appare là dove cessano le implacabili piogge, com’era
accaduto allo stesso Noè nel momento in cui, dopo il Diluvio universale,
cercava di toccare la terra ferma per ricominciare la vita sulla faccia
della Terra invasa dalle acque con il suo vascello di creature a
coppie. Le famiglie arcobaleno, che sono scese in piazza per manifestare
a favore delle unione civili hanno molta voglia di andare al di là di
questo simbolo, come canta Dorothy, Noè compreso, e di entrare in una
vita quotidiana fatta di una sicurezza garantita dalla legge, qualcosa
di molto normale, dove la parola ha un significato letterale: vivere in
una norma sancita e uguale per tutti.
Quello che appare oggi in
gioco nella estremizzazione del problema delle «unioni civili» è il tema
della identità là dove, ci ricordano gli antropologi, l’identità è
sempre una costruzione culturale. Appena una società intende costruire
una propria identità intorno a un valore – in questo caso «la famiglia» –
immediatamente s’imbatte in un problema di alterità. L’identità si
costruisce a scapito della alterità, combattendo l’alterità, riducendo
quelle che sono le possibili potenzialità alternative, ha scritto
Francesco Remotti in un libro che andrebbe letto e meditato: Contro
l’identità (Laterza). Per quanto l’identità respinga, l’alterità risorge
in modo prepotente e invincibile. Non c’è dubbio che le famiglie
arcobaleno costituiscono un’alterità rispetto a quella che è l’identità
famigliare dominante nella nostra società. Ricordando quanto ha scritto
un’altra antropologa, Mary Douglas, ogni tentativo di purificazione reca
con sé l’idea di impurità, di sporco. Non esiste l’impuro di per sé, ma
solo in rapporto a un ordine che lo istituisce come tale, per
opposizione. Nello scontro in corso intorno alle unioni omosessuali la
coppia puro/impuro è una sorta di non detto, dal momento che c’è la
tendenza a stabilire la norma e contemporaneamente l’anormalità, la
purezza cui corrisponderebbe l’impurità. Tutto questo è una costruzione
sociale. Non esiste un’identità umana unica e incontrovertibile, una
norma stabilita una volta per tutte.
In un suo articolo di qualche
anno fa, che oggi si legge in un libro recente, Siamo tutti cannibali
(il Mulino), Claude Lévi-Strauss ha mostrato come non sia affatto la
consanguineità a fondare la famiglia. Il grande etnologo francese fa
l’esempio di società in cui la famiglia è composta di un fratello e di
una sorella e nessun padre: tutti i figli avuti dalla donna sono stati
concepiti con partner diversi, ma ne fanno integralmente parte e sono
allevati dai fratelli; in un’altra una donna sterile può essere
considerata un uomo e sposare un’altra donna e allevare con lei i figli.
Altre ancora hanno abolito la categoria del marito e si sono fondate su
forme di struttura famigliare che esclude quella biologica puntando
piuttosto sul legame sociale. Le famiglie arcobaleno rappresentano una
diversità e una ricchezza che gli antropologi si guarderebbero bene di
respingere. Non sono la maggioranza nella nostra società, non
costituiscono a loro volta una norma, ma appunto una diversità, quella
di cui abbiamo bisogno per costruire la nostra stessa identità
prevalente. I colori con cui hanno sfilato nelle città italiane sono il
segno di una pluralità rispetto ai vessilli monocromatici che dominano
il nostro Occidente. Non delle aberrazioni, bensì alterità. Over the
Rainbow, canta Dorothy. Proviamo ad andare davvero oltre.