La Stampa 24.1.16
Quel piano di Papa Francesco per dialogare con Xi Jinping
di Andrea Tornielli
«Una
soluzione dei problemi esistenti tra Santa Sede e governo cinese
sarebbe significativa per la pace nel mondo». È la convinzione dei più
stretti collaboratori di Papa Francesco, impegnati nel delicato dialogo
con le autorità di Pechino. Un dialogo dai tempi lunghi, che un anno fa
il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, aveva definito con
«prospettive promettenti».
Nell’agosto 2014, di ritorno dalla
Corea, dopo che per la prima volta a un Papa era stato concesso il
sorvolo dello spazio aereo della Repubblica Popolare Cinese, Francesco
aveva detto: «Ho pregato tanto per quel grande e nobile popolo cinese,
un popolo saggio… Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro: domani!
Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per
la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione». È ormai
evidente da tempo che le relazioni diplomatiche e soprattutto un accordo
sul processo di nomina dei vescovi aiuterebbero concretamente la vita
dei cattolici cinesi. Nell’ex Celeste Impero vivono comunità «ufficiali»
e altre cosiddette «clandestine», i cui vescovi non sono riconosciuti
come tali dal governo. L’aggettivo «clandestine» potrebbe fare pensare a
comunità nascoste nelle catacombe. In realtà non è così: anche le
comunità guidate da vescovi che non hanno voluto aderire
all’«Associazione Patriottica», l’organismo governativo per il controllo
delle attività della Chiesa, possono tenere le loro celebrazioni.
È
da considerarsi dunque superata la vulgata secondo la quale in Cina
esisterebbero due Chiese: una fedele al Papa e perseguitata dal governo,
l’altra «addomesticata». Di Chiesa, in Cina, ce n’è una sola.
All’inizio del 2011, la quasi totalità dei vescovi cinesi era in piena
comunione con il Pontefice. Poi ci sono state quattro nuove ordinazioni
episcopali illegittime, che costituiscono l’ultimo incidente grave di
percorso nei rapporti tra la Chiesa e il governo cinese, la lenta e
faticosa trattativa per giungere a un accordo, che trova ostacoli
all’interno delle burocrazie di entrambe le parti coinvolte, viene
proseguita da Francesco in continuità con i suoi predecessori.
La
Santa Sede ha infatti sempre detto di essere disponibile a trovare un
modo concordato con le autorità del Paese per designare i candidati
all’episcopato, lasciando al vescovo di Roma la parola finale. Benedetto
XVI nella sua storica «Lettera ai cattolici cinesi» del giugno 2007
auspicava «un accordo con il governo» su scelta, nomina e riconoscimento
da parte delle autorità civili. Papa Ratzinger precisava che concedendo
il mandato episcopale esercitava un’«autorità spirituale», che non va
intesa come «autorità politica, che si intromette indebitamente negli
affari interni di uno Stato».