sabato 23 gennaio 2016

La Stampa 23.1.16
Le parole sono pietre
di Marcello Sorgi

Alla vigilia del Family-day e delle manifestazioni a favore del riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali, l’entrata in scena di Papa Francesco, sul controverso terreno delle unioni civili in discussione al Senato, è destinata a pesare moltissimo sulla complicata gestazione della legge. Fino a questo momento infatti - e con la sola eccezione del richiamo rivolto all’allora sindaco di Roma Marino per il suo frettoloso riconoscimento delle coppie gay - il Papa si era astenuto dall’influenzare o dal prendere parte alle vicende politiche italiane, anche quelle che, toccando problemi di fede e di coscienza, in passato avevano motivato l’intervento delle Gerarchie. Fino a qualche giorno fa, inoltre, un’intervista del segretario della Conferenza dei vescovi italiani, monsignor Galantino, aveva delineato un approccio laico alla questione: la Chiesa, in sostanza, riconosceva il diritto del Parlamento italiano a legiferare anche su una materia così delicata, limitandosi a raccomandare di non confondere il riconoscimento di alcuni diritti - ad esempio, era facile immaginare, l’assistenza sanitaria, o la reversibilità delle pensioni tra i componenti della coppia di fatto - con altri, tipo le adozioni, che si sarebbero ricollegati a delicati problemi di bioetica.
Trasparente era, poi, l’invito alle forze politiche, a trovare una mediazione, un punto di incontro tra le diverse sensibilità.
Ma invece di favorire un chiarimento - difficile, se non impossibile, vista la radicalità delle posizioni in campo al Senato -, l’intervista del segretario della Cei aveva sollevato reazioni Oltretevere. Nel giro di pochi giorni, il presidente della stessa assemblea dei vescovi, cardinale Bagnasco, e l’ex-presidente, nonché teorico della più rigorosa difesa dei «valori irrinunciabili» del cattolicesimo, monsignor Ruini, avevano replicato duramente a Galantino, invocando una più energica iniziativa della Chiesa sui cattolici italiani, dentro e fuori il Parlamento. Era sembrato tuttavia che il Papa non avesse accolto bene queste manifestazioni di dissenso. Poi, ieri, forse proprio per evitare di affidare il suo pensiero a voci o interpretazioni informali, Francesco ha deciso di far sentire forte e chiara la sua voce.
Va detto subito che un intervento come quello pronunciato davanti al Tribunale della Sacra Rota, anche se non conteneva un esplicito riferimento alla legge in discussione, potrebbe essere considerato un’ingerenza nella vita politica italiana. Il Papa, va da sé, ha pieno diritto di rivolgersi ai fedeli - e lo fa continuamente in piena libertà -, ma allo stesso tempo non può ignorare, né il momento scelto per pronunciare il suo severo richiamo a distinguere la famiglia da unioni di altro tipo, né il suo ruolo istituzionale di Capo di uno Stato straniero. Per ritrovare un analogo intervento, accolto freddamente dall’allora presidente del Consiglio Romano Prodi, che in polemica si definì «cattolico adulto», occorre tornare al 2007, a un’analoga contingenza politica (allora le unioni civili si chiamavano Dico), a Papa Benedetto e appunto al cardinale Ruini, allora alla guida di una Cei battagliera.
Ma se Francesco, che aveva esordito con propositi opposti («Chi sono io per giudicare un gay?», aveva detto nel corso di uno dei suoi primi viaggi), e fino adesso aveva mantenuto un inappuntabile distacco dalle questioni italiane, ha deciso di tornare sui suoi passi, bisogna pur chiedersi perché lo ha fatto. E la risposta non può essere rintracciata solo nelle divisioni che sono affiorate tra le Gerarchie e nella richiesta della parte più conservatrice della Chiesa di far sentire una e una sola voce, che non poteva non essere quella del Papa.
La verità è che tra i tanti - laici e non - che in questi giorni stanno seguendo l’evoluzione del dibattito in Senato e lo scontro aperto nella società civile, forse anche il Papa s’è reso conto che una legge che nasca in queste condizioni, difficilmente sarà adatta a risolvere le questioni che è chiamata ad affrontare, e finirà col creare più problemi, invece di indicare soluzioni.
Basta solo riflettere sul percorso fatto fin qui dal disegno di legge Cirinnà. A inizio d’anno, non più tardi di due settimane fa, Renzi si era impegnato a sostenerlo, quasi come se si trattasse di un punto di programma del suo governo. Successivamente la ministra dei rapporti con il Parlamento Boschi si era dichiarata a favore anche della «stepchild adoption», l’adozione del figlio del partner, che rappresenta il punto più controverso del testo. Subito dopo il governo ha preferito farsi da parte, lasciando al Parlamento l’onere delle decisioni. E dopo un inconcludente confronto in commissione a Palazzo Madama, in cui, per inciso, ognuno è rimasto sulle sue posizioni, il testo è stato mandato in aula senza relatore: un vascello alla deriva, senza nessuno che si assuma il compito di spiegarlo ai senatori, discutere eventuali emendamenti, difenderlo o correggerlo, cercando il compromesso che fin qui non è stato individuato.
Resta a battersi per le unioni civili comprensive di adozioni la senatrice Cirinnà, che ha materialmente scritto la proposta di legge ed è sicura che a voto segreto il Senato la approverà. Ma i due maggiori partiti di governo e di opposizione, Pd e Forza Italia, sono divisi e hanno scelto di lasciare libertà di voto ai propri parlamentari, mentre tra gli altri ci sono quelli apertamente contrari (Ncd, centristi, Lega e Fratelli d’Italia) e quelli radicalmente favorevoli (la sinistra radicale). Nessuno è in grado di prevedere cosa verrà fuori dalle centinaia di votazioni che dalla prossima settimana saranno effettuate, per arrivare all’approvazione di un testo, quale che sia, dal momento che la legge alla fine sarà la risultante di alleanze estemporanee e fronti contrapposti. Ma al contempo, ormai, nella confusione del momento, nessuno è più in grado di impedirlo.
Così si spiega anche la seconda parte dell’intervento del Papa, quella dedicata alle parole e alla necessità di farne sempre un uso accorto e appropriato. È come se Francesco avesse voluto ricordarci che a volte, sempre più spesso ormai, le parole sono pietre. Mai come questa volta infatti la posta in palio non sono solo i diritti delle coppie omosessuali: sacrosanti, verrebbe da dire, se il termine in questo contesto non fosse improprio. Ciò di cui si discute è il modo di farli entrare nel nostro ordinamento, valutandone, oltre alla necessità, anche l’aspetto potenzialmente dirompente, e forse l’opportunità di un inserimento graduale e ben motivato. Né più né meno come avvenne con il divorzio e con l’aborto, senza riuscire a evitare che all’inizio si aprisse una guerra di religione, ma anche facendo sì che potessero essere metabolizzati, come in seguito avvenne, da gran parte dei cattolici inizialmente contrari.