sabato 23 gennaio 2016

La Stampa 23.1.16
Comunali e Partito della Nazione
La minoranza Pd accusa Renzi
Il premier: “Il voto non va politicizzato”. Cuperlo: “Se sei capace, fai il segretario”
di Carlo Bertini

Che le amministrative e il referendum non saranno una passeggiata per il premier lo si è capito bene ieri, quando in direzione è venuta a galla la frattura profonda che incrina il Pd, sul nodo delle alleanze future e sul fantasma di Verdini che «squassa» il partito. Perché la minoranza che sferra un attacco al premier lo aspetterà al varco e non farà sconti se le cose non andranno bene alle urne di primavera. Visto che per loro se la sinistra va da sola quasi ovunque tranne a Milano e se le coalizioni si rompono in giro per l’Italia è anche colpa del leader-segretario. Il quale ha raccolto lodi solo per le sue parole nette sull’Europa sociale, su Schengen e i migranti, ma ha dovuto incassare una serie di colpi, che non lo impensieriscono granché, visto che neanche si è dato la pena di replicare, avendo più volte chiarito che Verdini non entra nella maggioranza.
Renzi guarda avanti, nega ripercussioni sul governo dalle urne di primavera, «a differenza di altri non vogliamo politicizzare il voto come stanno facendo amici e compagni della sinistra», dice, convinto che anche a Roma «pure se è difficile, ce la possiamo fare». Rivendica «l’operazione politica e costituzionale enorme» della riforma approvata, senza mai citare Verdini; rilancia la sfida del referendum, che «non è un plebiscito» ma il cui esito «segna fatalmente la mia credibilità»: da qui quella che il premier chiama «un’assunzione etica di responsabilità». E sfodera una battuta ad affetto, «sarà la prima volta nella storia in cui Berlusconi e Magistratura democratica staranno insieme, una cosa meravigliosa da guardare con i pop corn, insomma ci sarà una variegata alleanza del no che tenterà di lasciare le cose come sono. Il fronte della conservazione unirà molte realtà diverse».
Ed è proprio l’assonanza delle sue parole con quelle di Alfano che parla di fronte del sì come «atto di nascita di un nuovo bipolarismo di chi mira a status quo e chi al cambiamento» che insospettisce la minoranza. Quelli che gli contestano di non occuparsi del partito, invitandolo tra le righe a rinunciare al doppio ruolo, «se sei capace fai il segretario», lo strattona Gianni Cuperlo; che gli contestano di aver mollato Sel e la sinistra senza costruire alleanze. E soprattutto di non sgombrare il campo dallo spettro di Verdini. «Vedo con allarme che il perimetro di centrosinistra si restringe, nelle città più grandi non vengono rinnovate coalizioni ampie», dice Cuperlo. Che pur ammettendo che è Sel a rompere, attacca su una «diversa concezione delle alleanze», citando quanto accaduto in Senato e segnali come la battuta di Verdini sull’affiliazione al Pd alle politiche come la conferma che il Pd guarda al centro.
«Una lacerazione del centrosinistra è una scelta strategica che può squassare il Pd». Insomma, Cuperlo e compagni vorrebbero che «ci sia chiarezza su dove si vuole portare questo partito perché è su questo terreno che noi misureremo anche la possibilità di condividere le scelte fondamentali che riguardano il destino del Pd». Stessa linea di Speranza, che vuole «un segnale definitivo che Verdini non ha nulla a che fare con il pd e il centrosinistra, con lui si fa il partito della Nazione, noi vogliamo una cosa diversa». E a nulla valgono le rassicurazioni dei vertici del partito come la Serracchiani, «non c’è nulla di strano che le vicepresidenze delle commissioni vadano alle opposizioni», perché il sospetto ormai è diffuso. I bersaniani anzi sostengono che «nei comuni piccoli il partito della nazione lo stanno già facendo, l’assenza del Pd nei territori è emblematica e se Renzi non si accorge del malcontento...».