La Stampa 22.1.16
Il Carnevale è morto viva il Carnevale
Era il momento della trasgressione temporanea, funzionale a riconfermare l’ordine per il resto dell’anno
Ma ora che viviamo immersi in un disordine continuo, e tutto si contamina con tutto, la “festa dei pazzi” è ogni giorno
di Marco Belpoliti
Domenica
prossima sarà la domenica di settuagesima con cui inizia ufficialmente
il Carnevale. Dura 18 giorni. Il 2 febbraio è Candelora, da cui deriva
l’antica tradizione precristiana della festa, il Carnem levare, per cui
secondo alcuni la parola significherebbe «eliminare la carne», mentre
per altri levare sta per «innalzare» la carne; segue il Giovedì grasso
che quest’anno cade il 4 febbraio, e quindi tutto culminerà il Martedì
grasso. Il giorno successivo, Mercoledì delle Ceneri, saremo
ufficialmente in Quaresima, per cui la Chiesa cattolica consiglia
digiuno, contrizione e pentimento.
Cos’è vivo e cosa è morto del
Carnevale? Cosa resta presso di noi degli antichi riti agrari in onore
di Saturno, da cui nasce la festa pagana? Che ne è dell’anarchia
programmata e dell’inversione sociale temporanea portata dai suoi riti?
Probabilmente nulla. Come tante altre feste, a partire dallo stesso
Natale, il significato recondito, custodito intatto per secoli, è andato
perduto, sostituito da una festività che ha i suoi riti consumistici, i
suoi oggetti messi in vendita in un determinato periodo dell’anno
(maschere, travestimenti, coriandoli, stelle filanti, dolci); quindi via
verso un’altra celebrazione in un’incessante serie di ricorrenze che
della vera festa non hanno più molto.
Il mondo sottosopra
Quasi
nessuno ricorda le libertà che le persone si prendevano in occasione
del Carnevale, le cerimonie parodiche, le feste dei pazzi, il
sovvertimento dei ruoli vigenti in una società rigida, di ferro, come
era quella tradizionale, durata quasi intatta fino a 60 anni fa. Durante
il Carnevale tutto veniva messo sottosopra; il mondo era rovesciato di
colpo, come ha raccontato Giuseppe Cocchiara nei suoi libri sul
folclore. In India, lontano serbatoio di miti e di favole trasmigrate
per secoli attraverso misteriosi canali stesi lungo i continenti, le
comunità rurali eleggevano un re della festa che cavalcava all’indietro,
non un destriero da parata, bensì un asino di campagna. Davvero il
mondo era stravolto e per quel novero di giorni, fin che durava, fin che
le luci della festa non si spegnevano, poteva accadere di tutto.
In
un carnevale del 1580 a Romans, paese del Delfinato, come ha raccontato
lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, il Carnevale si trasformò
in sanguinosa tragedia opponendo artigiani e nobili, classi medie e
classi dominanti. Le libertà carnevalesche rappresentavano in modo
ribaltato la struttura sociale tradizionale dove il re era intoccabile
insieme con i nobili, le donne sottomesse agli uomini, la parola turpe o
blasfema interdetta, l’oscenità messa al bando. Nel Carnevale tutto
andava gambe all’aria in una rivoluzione temporanea e radicale: le donne
licenziose, i padroni bastonati, i poveri fatti ricchi e i ricchi
ridotti in povertà; tutto ciò che era relegato ai ranghi «inferiori», il
fisiologico, il corporale, il genitale, diventava preponderante, e la
cultura alta ridicolizzata. Il buffone diventava re e il re ridotto al
ruolo buffonesco.
Il Carnevale era il momento della trasgressione;
l’ordine del mondo usciva dai suoi cardini, unico modo per poterlo
mantenere tale per tutto l’anno. Per conservarsi intatto quel mondo
aveva bisogno di essere scardinato almeno una settimana, per essere
purificato doveva contaminarsi, per restare ancorato al proprio supremo
ordine, sperimentare la confusione. Ordine e disordine si bilanciavano
in modo perfetto.
Insulti pubblici
Ora che la trasgressione
regna sovrana, che l’ordine sembra fondarsi su un caos programmato e
continuo, cosa resta dell’antico spirito sovversivo? Quasi nulla. Se la
società è liquida, o somiglia a una nuvola gassosa, come la
rappresentano sociologi ed economisti, il Carnevale non ha più ragione
di esistere. Non c’è più alcun ordine da confermare o ripristinare dal
momento che viviamo immersi in un disordine continuo, fluttuante e
inafferrabile. La parola turpe, l’insulto hanno invaso i luoghi della
comunicazione pubblica (un allenatore di calcio, Sarri, insulta un
altro, Mancini, con epiteti da turpiloquio); tv e social network hanno
rotto gli argini eretti nel passato: l’insulto è pubblico e replicabile.
Il linguaggio si è contaminato e le «brutte parole» fanno parte
dell’eloquio dei leader. Tutto si contamina con tutto, e la cultura alta
non si distingue da quella bassa; anzi quest’ultima è il vero mood
della società contemporanea.
Orizzontalità totale
Il mondo
non sembra possedere più alcuna verticalità, poiché i sistemi
comunicativi e produttivi hanno prodotto l’orizzontalità totale. La
festa dei pazzi, il mondo alla rovescia, è ogni giorno dell’anno.
L’anarchia, la confusione, il rimescolamento sono stati permanenti. Lo
stesso mascheramento, il travestimento, tipico del Carnevale e del suo
spirito sovvertitore, è oggi un fatto comune e consueto. Non a caso
David Bowie, icona trasgressiva, modello gender, maestro del
travestimento e della identità plurima e cangiante, è stato celebrato in
morte da tutti.
Ma se non c’è più differenza tra ordine e
disordine, su cosa si fonderà la società? Se la trasgressione è
continua, cosa vuol dire oggi trasgredire? In un libro emblematico,
Ritratto dell’artista come saltimbanco, il critico Jean Starobinski
aveva preconizzato all’inizio degli Anni 70 la mutazione in corso. Dopo
aver analizzato in che modo il clown era diventato negli ultimi due
secoli il soggetto preferito di pittori, musicisti e registi,
Starobinski aveva concluso che la sua presenza sulle scene dell’arte si
stava attenuando. Il clown, concludeva, è sceso per le strade, è in
ciascuno di noi: «Non ci sono più limiti, non c’è più infrazione. Rimane
la derisione». Previsione perfetta.