Repubblica 22.1.16
Il lato oscuro dello Zar
Da Magnitskij a Nemtsov una lunga scia di delitti misteriosi
L’irresistibile
ascesa di Vladimir è stata punteggiata da una serie di “affari
bagnati”, come il Kgb chiamava i “delitti di Stato”
Chi ha ammazzato due anni fa Boris Berezovskij? E come sono scomparsi dal 2004 a oggi i sei soci del “Moscow Project”?
di Paolo Garimberti
LA
GUERRA delle spie tra Londra e Mosca è un classico non solo della
“fiction” del genere, ma anche della realtà della Storia. Soprattutto
dopo che «da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, è scesa sul
continente europeo una cortina di ferro», per usare una celebre
citazione di Winston Churchill del 1946. Nel settembre 1971 sir John
Killick, ambasciatore del Regno Unito in Urss, fu convocato alle 7 di
sera, ora inconsueta e volutamente scortese, al ministero degli Esteri.
«Verrò — rispose con sprezzante aplomb britannico — Ma prima finisco di
cenare». Sapeva già il motivo della chiamata. La Gran Bretagna aveva
appena espulso 105 sovietici delle varie missioni a Londra, denunciate
come spie da ufficiale del Kgb disertore, Oleg Lyalin. Mosca, per
rappresaglia, cacciò 18 funzionari britannici, più o meno la metà
dell’intera comunità diplomatica britannica nella capitale sovietica.
Quattordici
anni dopo la partita finì con uno score più equilibrato: 31 sovietici
espulsi da-Margaret Thatcher contro 25 britannici dal Cremlino (dove
l’anno seguente si sarebbe installato Mikhail Gorbaciov, aprendo una
nuova éra interna e internazionale). Nel 1985 la fonte del Mi5 fu un
altro celebre defector, Oleg Gordievskij, colonnello del Primo
direttorato centrale del Kgb (responsabile delle operazioni all’estero),
quello dove è passato anche Vladimir Putin, arrivato al grado di
tenente colonnello quando era in servizio a Dresda, allora Repubblica
Democratica Tedesca.
Il 2 novembre 2007 Gordievskij rimase per 36
ore senza conoscenza e si salvò per miracolo. Quando il capo del Mi5,
Eliza Manningham- Buller, aprì un fascicolo d’indagine, l’ex colonnello
accusò un uomo d’affari russo di averlo avvelenato con il tallio sotto
forma di pillole per curare l’insonnia. Nel linguaggio interno del Kgb
queste operazioni sono chiamate mokrie delà (affari bagnati). Aleksandr
Litvinenko, intossicato a morte con il polonio, ne è diventato una
vittima simbolo, secondo il rapporto Owen, reso pubblico ieri.
Ma
stavolta gli inglesi hanno mirato in alto: addirittura al cuore del
Cremlino, all’uomo che è l’artefice della rinascita della potenza Russia
dalle ceneri dell’Unione Sovietica. Accusando Nikolaj Patrushev, l’ex
capo del Fsb (il derivato russo del Kgb sovietico) oggi consigliere per
la sicurezza nazionale, di aver approvato l’assassinio di Litvinenko,
gli investigatori britannici puntano il dito su quello che il Financial
Times definì the darker side of Putinism, il lato più oscuro del
putinismo.
Il quotidiano inglese si riferiva, nel suo editoriale
del gennaio 2013, a una delle tante morti misteriose, sospette di
“delitto di Stato”, che hanno punteggiato l’irresistibile ascesa di
Putin: il decesso, quasi certamente per ripetuti maltrattamenti, nel
carcere Butyrka di Mosca di Sergej Magnitskij. Avvocato tributarista,
specializzato in frodi fiscali, Magnitskij era stato l’uomo di fiducia
di Bill Browder e del suo Hermitage Capital, un fondo d’investimenti che
operava a Mosca ed era in ottimi rapporti con gli intimi di Putin. Poi
il vento era improvvisamente cambiato, gli uffici del fondo erano stati
perquisiti dalla polizia, Browder espulso. Magnitskij era finito in
carcere nel 2008 e vi era morto nel giro di un anno. Il Congresso
americano, nel 2012, dopo una lunga inchiesta, è giunto a conclusione
che la sua morte sia stata dolosa e ha vietato l’ingresso a tutti gli
implicati nella fine dell’avvocato (la Russia ha risposto bloccando
centinaia di adozioni).
Nemmeno un mese prima dell’avvelenamento
di Litvinenko al Millennium Hotel di Londra, il 7 ottobre 2006, era
stata assassinata la giornalista Anna Politkovskaja. Stava per
pubblicare un’inchiesta sulle torture nelle carceri di Ramzan Kadyrov,
il ras della Cecenia. Una morte ancora impunita, nonostante i sospetti
sui tre fratelli Makhmudov. Né più, né meno dell’uccisione di Boris
Nemtsov, l’ex premier avversario di Putin, assassinato nel febbraio 2015
a due passi dal Cremlino. L’inchiesta russa ha accusato un comandante
militare ceceno, Ruslan Geremeyev, e il suo autista. Ma entrambi sono
spariti nel nulla. Guarda caso fedelissimi di Kadyrov, il quale, il
giorno dopo l’assassinio di Nemtsov, è stato decorato da Putin.
Singolare coincidenza. Tanto più che martedì scorso Kadyrov ha
pubblicato un articolo sulle Izvestija invocando la linea dura per gli
“sciacalli nemici del popolo”, gli oppositori di Putin.
La lista è
lunga e incompleta: chi ha ucciso due anni fa, nel bagno della villa
inglese, Boris Berezovskij, prima amico e poi arcinemico del leader del
Cremlino? E come sono morti, dal 2004 a oggi, i sei suoi amici coinvolti
nel progetto immobiliare Moscow Project? Le coincidenze sono tante e
gettano ombre sulle torri del Cremlino. Masha Gessen, giornalista e
scrittrice, ha messo in fila, per il New York Times, tutti i casi
sospetti in cui è coinvolto l’inner circle di Putin (in Gran Bretagna,
Spagna e Russia) per concludere: «La Russia è uno Stato mafioso. Non
soltanto perché è governato come la mafia, ma anche perché è gestito dal
crimine organizzato».