La Stampa 22.1.16
Maurizio Pollini
“Ritroviamo il coraggio di creare musica nuova”
Il celebre pianista: spazi innovativi anche per le sale da concerto
intervista di Sandro Cappelletto
«Richard
Wagner ha dovuto battersi per imporre al pubblico la Nona Sinfonia di
Beethoven, che oggi tutti conosciamo, è diventata l’inno europeo, il
simbolo stesso della libertà. La musica nuova ha sempre faticato per
imporsi».
Maurizio Pollini rimane fedele agli ideali che hanno
segnato la sua vita di musicista e di innovatore. E, poche settimane
dopo la scomparsa dell’amico Pierre Boulez, lancia un grido d’artista,
perché non si dimentichi, perché non prevalga l’abitudine, l’ovvietà.
L’ora fissata per l’incontro è la solita. A casa, alle 15, dopo una
mattinata di studio e dopo il pranzo in cucina. «Boulez è stato un genio
della composizione, un grande direttore d’orchestra, un saggista, un
uomo che ha fatto tutto il possibile per diffondere la musica moderna.
Con coerenza per tutta la vita: la sua perdita mi lascia triste e
preoccupato».
Preoccupato che cali il silenzio sulla musica sua e del suo tempo?
«Il
problema è generale. Arnold Schoenberg ha abbandonato la musica tonale
più di cento anni fa, però il grande pubblico nel mondo non ha ancora
completamente digerito questo passo straordinario, non ha compreso
l’espressività di questa musica».
Perché?
«Per un non
sufficiente ascolto. Per una mancanza di esecuzioni che avrebbero dovuto
abituarlo a seguire con interesse e con gioia il suo linguaggio».
Chi non ama la musica contemporanea dice che è la natura del nostro orecchio a rifiutarla.
«No!
Nel 1400 era inconcepibile finire un pezzo di musica come finisce un
pezzo dell’età classica e romantica. Non c’è una predisposizione
naturale dell’orecchio alla musica tonale. Ci sono convenzioni e
abitudini, convalidate da capolavori, ma non una legge di natura».
I compositori contemporanei hanno trascurato il pubblico?
«L’artista
spera sempre di essere compreso, ma non può pensare esclusivamente
all’ascoltatore. La sua molla è la ricerca, altrimenti sarebbe un
intrattenitore, che pensa non alla grandezza dell’opera, ma al piacere
effimero».
Il pubblico oggi è impigrito, non vuole correre avventure?
«Questo
è senz’altro un problema. Inoltre, gli interpreti non presentano la
musica nuova con la frequenza necessaria e le istituzioni sono vittime
della paura di rischiare. Per mia esperienza, o per mia fortuna, posso
dire che il coraggio è sempre stato ricompensato, anche dal pubblico».
Questo
difficile rapporto tra creatività contemporanea e pubblico non si
verifica nella pittura, nella scultura, nella letteratura.
«Hanno vita più facile. L’impatto col pubblico avviene in maniera diversa. La musica la devi subire».
Subire?
«Di
fronte a un quadro, ad una scultura sei libero: li puoi guardare per
ore oppure per cinque secondi e andare via. Un libro che non ti piace lo
puoi chiudere. Un grande pezzo di musica devi seguirlo stando fermo per
un’ora».
Bisogna immaginare nuovi luoghi per l’ascolto?
«È
una riflessione che alcuni compositori, penso a Nono, Berio,
Stockhausen, e architetti come Renzo Piano hanno fatto: la sala da
concerto tradizionale non funziona per tutti i repertori».
La musica scritta è muta. Va suonata, interpretata. Lei è un interprete carismatico. Che cos’è il carisma?
«Sia
a casa quando studio, sia in pubblico il mio lavoro è sul costante
rinnovo della comprensione. È un lavoro che non smette mai. Di una
musica non puoi mai dire di averla capita una volta per sempre. Questo
provoca una tensione che credo si trasmetta al pubblico».
Fedeltà o libertà dell’interprete?
«La
fedeltà è necessaria, ma non è sufficiente. C’è sempre un elemento
imponderabile che stabilisce l’identificazione dell’interprete con il
creatore».
Come si crea l’intesa tra un solista, un’orchestra, un direttore? Tra lei e Abbado, ad esempio.
«Si
creano circuiti di un sentire musicale che si fonde o non si fonde. Con
Claudio abbiamo ogni volta conquistato un’intesa, facilitati da una
sensibilità comune, in tante diverse occasioni che ci ha condotto a
raggiungere un’alchimia rara».
Lei ascolta la musica riprodotta?
«Molta su disco. È utile: puoi riascoltare, approfondire. Non ho un computer, sono tagliato fuori da questo mondo».
Che cosa distingue la musica colta, complessa, dalla musica leggera, di consumo?
«C’è una differenza, eccome. Ed è proprio questa differenza che si vorrebbe il pubblico sentisse».