Corriere 22.1.16
Polonia vaso di coccio Tra vasi di ferro
risponde Sergio Romano
A
quali responsabilità della Polonia negli avvenimenti che precedettero
lo scoppio della seconda guerra mondiale si riferisce nella sua risposta
al quesito del lettore sull’euroscetticismo dei nuovi membri Ue già
satelliti dell’Urss?
Roberto Papa
Caro Papa,
Le
responsabilità furono soprattutto storiche e geografiche. Quando la
guerra finì sul fronte occidentale, nel novembre del 1918, una legione
polacca stava ancora combattendo contro l’Armata rossa in Galizia e in
Ucraina. Mentre il presidente Wilson annunciava l’Europa delle
nazionalità, fondata sul principio dell’autodeterminazione e sul
reciproco rispetto delle frontiere nazionali, i nazionalisti polacchi
sognavano il ritorno a quelle del 1772, prima delle grandi spartizioni, e
la rinascita di una grande Polonia, composta anche da nuclei importanti
di ucraini, bielorussi e lituani. La Russia fece proposte di pace e le
potenze dell’Intesa presentarono un piano che avrebbe posto un limite
alle ambizioni del governo di Varsavia. Ma i polacchi respinsero
qualsiasi accomodamento e occuparono Kiev nel maggio del 1920.
Dopo
qualche settimana, tuttavia, la vittoria passò da un campo all’altro.
La fanteria del generale Tuchachevskij e l’armata a cavallo del generale
Budionnyj travolsero le formazioni polacche, occuparono Minsk, Vilnius,
Grodno, Brest-Litovsk e giunsero sino alle porte di Varsavia. I
successi sovietici ebbero l’effetto di cambiare l’atteggiamento delle
grandi potenze e dell’opinione pubblica internazionale. Anche coloro che
avevano criticato gli eccessi del nazionalismo polacco temettero che il
successo dell’Armata Rossa avrebbe schiuso al comunismo le porte
dell’Europa centrale e occidentale. Ma il fattore decisivo fu lo
straordinario scatto di energia con cui i polacchi ruppero l’assedio,
ripresero l’offensiva e costrinsero i sovietici a firmare un trattato di
pace, nel marzo del 1921, che riconosceva alla Polonia una parte
importante della Ucraina e della Bielorussia.
Non meno discusse e
contestate furono le sue frontiere occidentali. A Versailles la Polonia
ottenne dalla Germania la Posnania, una parte della Prussia occidentale e
dell’Alta Slesia, un corridoio che attraversava il territorio tedesco e
le avrebbe permesso di accedere a Danzica e al suo porto. Nel 1938,
quando Hitler mise in moto la macchia del revanscismo tedesco, la
Polonia era nella scomoda situazione di avere frontiere, a est e a
ovest, che ciascuno dei suoi grandi vicini, la Germania nazista e la
Russia di Stalin, considerava inique. Vi fu un momento in cui Francia e
Gran Bretagna sperarono che l’Urss, nell’eventualità di un conflitto con
la Germania. si sarebbe schierata con le democrazie occidentali. Ma
Mosca chiese che alle sue truppe, se necessario, fosse concesso di
attraversare il territorio della Polonia, e a questa prospettiva il
governo polacco oppose un rifiuto. Non aveva torto, ma quel rifiuto ebbe
l’effetto di creare, fra l’Urss e la Germania, un interesse comune di
cui la Polonia, dopo l’accordo fra Molotov e Ribbentrop, sarebbe stata
la prima vittima. Aggiungo, caro Papa, che se Hitler non avesse invaso
l’Unione Sovietica nel giugno del 1941, la Polonia avrebbe corso il
rischio di scomparire dalla carta geografica. Ma questo, per fortuna, è
soltanto un esercizio di storia controfattuale.