La Stampa 21.1.16
MPS: -58%
E a Siena ritorna la paura dei correntisti per i loro risparmi
L’ad Viola rassicura. Contatti dei vertici con Tesoro e Bankitalia
di Gianluca Paolucci
All’uscita
da Rocca Salimbeni, la storica sede della banca nel cuore di Siena, le
facce sono tirate e la preoccupazione palpabile. «I deflussi ci sono»
ammette a mezza bocca un manager. Sono partiti lunedì, in concomitanza
con il secondo tonfo del titolo in Borsa, mentre nella settimana
precedente dalla rete non arrivavano segnali di preoccupazione. Spesso
si tratta di clienti che spostano la parte dei propri risparmi che
eccede i 100 mila euro, la quota tutelata anche in caso di bail in. Ne
ha parlato tra le righe anche lo stesso Viola, in mattinata. «Al momento
la dimensione della raccolta di quei clienti che hanno deciso di
spostare parte dei loro risparmi è contenuta e comunque inferiore a
quella riscontrata nella precedente crisi che la banca ha vissuto nel
febbraio del 2013». Da allora sono passati tre anni durante i quali Mps
ha fatto due aumenti di capitale per otto miliardi totali, dopo averne
fatti per altri tre miliardi nel 2011. Nel febbraio di tre anni fa gli
occhi della finanza italiana erano tutti qua, a Siena. Allora sul banco
degli imputati c’erano una serie di operazioni finanziarie: Alexandria,
Santorini, Fresh, Tror. Adesso la Rocca torna a tremare ma i colpevoli
sono altri.
«La storia che avete raccontato finora, i derivati
cattivi e le operazioni finanziarie spericolate, forse va riscritta»,
dice un ex consigliere di Mps. La storia di Mps non è più quella di
derivati esotici ma di una banca che non ha fatto bene la banca per
troppi anni. Che nonostante tutto il lavoro di risanamento,
efficientamento, taglio dei costi rischia ancora di rimanere schiacciata
da 24,4 miliardi di sofferenze, due volte e mezzo il patrimonio netto
tangibile della banca. Effetto di una politica creditizia che almeno
fino al 2011 evidentemente non ha funzionato. «Adesso i nodi vengono al
pettine», dice un analista.
L’amministratore delegato e il
presidente di Monte dei Paschi, Fabrizio Viola e Massimo Tononi, erano
attesi ieri all’Abi, ma non si sono presentati. Erano a Roma ma nessun
incontro istituzionale, spiegano alcune fonti. Di certo hanno avuto una
serie di contatti proseguiti per tutta la giornata anche con Tesoro e
Bankitalia per cercare di arginare la caduta. Con un occhio alle
quotazioni del titolo, che ieri è sprofondato fino a chiudere a -22%.
Adesso tutta Montepaschi, la terza banca italiana con oltre 5 milioni di
clienti, vale meno di due miliardi di euro, la metà di lunedì scorso. I
rendimenti dei bond sono schizzati in alto, con i rendimenti di un
titolo con scadenza 2020 che ha toccato il 24%. E i cds che sono passati
dagli 850 punti di venerdì ai 1250 di martedì ai 1700 punti di ieri
mattina. Si tratta dei Credit default swap, ovvero una sorta di
assicurazioni sul rischio di un emittente. Sono un buon termometro del
rischio che il mercato assegna ad una società e il raddoppio in pochi
giorni del premio richiesto è un altro dei pessimi segnali sul Monte.
La
speranza è quella di un compratore che si faccia avanti subito,
approfittando del prezzo da saldo. Ma ieri sono arrivate solo smentite:
Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit, ha escluso
sollecitazioni da parte del governo a intervenire sulla banca toscana.
Mentre il numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha negato in
modo categorico un’integrazione con Siena o con un’altra banca. Anche
perché «lo scopo principale del mio operato è creare valore e così non
si creerebbe valore».