giovedì 21 gennaio 2016

La Stampa 21.1.16
La consultazione e i tanti rischi di una campagna iper-politicizzata
di Marcello Sorgi

Oltre a dare il via libera praticamente definitivo alla riforma del Senato, che comunque dovrà ripassare alla Camera in aprile, i 180 voti (19 in più della maggioranza qualificata richiesta, 161) con cui ieri i senatori hanno approvato il disegno di legge Boschi hanno aperto formalmente la campagna per il referendum istituzionale. Un referendum - Renzi lo ha ribadito ieri - in cui il premier si gioca tutto, e nel caso in cui il voto popolare non dovesse confermare la riforma, s’impegna a uscire dalla politica.
Prima ancora che il governo incassasse il risultato positivo del voto, infatti, il centrodestra ha presentato il comitato del «No», rivolto, come hanno spiegato i capigruppo Brunetta e Romani, «a un elettorato potenziale del 70 per cento», un tetto che si ricava sommando i voti raccolti da tutti i partiti che ieri si sono espressi contro la trasformazione del Senato.
Da oggi in poi l’intenzione di Renzi (ma anche dei suoi avversari) è di concentrare l’attenzione dell’elettorato sull’appuntamento autunnale con le urne, anche per depotenziare l’esito delle amministrative di maggio, incerto, al momento, per tutti. Anche se la scelta dei candidati dei diversi schieramenti si avvicina, almeno nelle due principali città dove si vota per il sindaco, Roma e Milano, nessuno è in grado di prevedere il risultato. Di qui la convenienza nel sottolineare che è il referendum la partita vera che può confermare o sovvertire gli attuali equilibri politici.
I sondaggi di questa ancora lunga vigilia partono dando in vantaggio Renzi e il fronte pro-riforma. La caratteristica dei referendum è che gli elettori si schierano a prescindere dalle appartenenze politiche (la Dc nel ’74 perse clamorosamente la consultazione sul divorzio, pur essendo allora il partito di maggioranza relativa): in questo senso molto, per non dire tutto, si giocherà sulla campagna, e sia Renzi sia i suoi oppositori puntano a politicizzare il voto, facendo sì che la gente si esprima con un «sì» o un «no» al governo e mettendo in conto che il giudizio riguardi anche la ripresa o la crisi economica, il lavoro, e più in generale le politiche dell’esecutivo. Se la vittoria del «sì» rappresenterebbe una spinta ad andare avanti e risolverebbe per Renzi il problema di un premier e di un governo che non sono stati votati dagli elettori, l’affermazione del «no», portando alla cancellazione della riforma, avrebbe indubbiamente il significato di un ritorno all’indietro. È questo, al momento, l’ostacolo che gli avversari del premier devono affrontare.