La Stampa 21.1.16
Family day, il papa fuori dalla mischia
di Andrea Tornielli
Il
Papa ha parlato più volte delle minacce alla famiglia, ma non desidera
essere coinvolto nelle decisioni che spettano alle conferenze
episcopali, o nelle manifestazioni di piazza contro un disegno di legge,
che competono ai laici. «Il Fatto Quotidiano» ha dato notizia della
cancellazione dell’udienza al cardinale Angelo Bagnasco, presidente
della Conferenza episcopale italiana, inizialmente programmata per oggi.
La motivazione del mancato appuntamento è la necessità per Francesco di
dare la precedenza ad alcuni nunzi apostolici in procinto di ripartire
per le rispettive sedi. E il portavoce vaticano, padre Federico
Lombardi, ha invitato a non enfatizzare facendo «elucubrazioni
anticipate sull’agenda» papale.
Non si può però escludere del
tutto che il Pontefice, oltre al motivo dell’accavallarsi degli impegni,
desiderasse anche non venire presentato come sponsor del Family Day,
ormai alla vigilia della prolusione di Bagnasco al Consiglio permanente
della Cei di lunedì prossimo. Un discorso atteso, nel quale si parlerà
di unioni civili.
Il cardinale, domenica scorsa, aveva definito
«condivisibile» il Family Day riconoscendo le sue finalità come
«assolutamente necessarie». Parole interessatamente interpretate da
alcuni non soltanto come aperto sostegno alla kermesse, ma anche come
sconfessione di quella posizione più prudente, manifestata fino ad
allora dal segretario della Cei Nunzio Galantino. Erano poi seguite
ricostruzioni giornalistiche secondo le quali Bagnasco si sarebbe
espresso in quel modo proprio perché poteva contare, sullo specifico
argomento del Family Day, nel sostegno diretto del Pontefice e del
Segretario di Stato vaticano. Interpretazioni che appaiono poco aderenti
alla realtà.
Il Papa ha parlato più volte di famiglia e delle
«colonizzazioni ideologiche» che la minacciano. L’11 gennaio scorso, nel
discorso al Corpo diplomatico, ha detto: «Purtroppo, conosciamo le
numerose sfide che la famiglia deve affrontare in questo tempo, in cui è
minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la
stessa istituzione del matrimonio». Ma una cosa è ribadire ciò che la
Chiesa crede sulla famiglia, un’altra è entrare nel dibattito politico
italiano o sponsorizzare iniziative popolari che cercano -
legittimamente - di contrastare un disegno di legge.
Fin dal suo
primo incontro con la Cei, nel maggio 2013, Francesco aveva chiarito che
spetta ai vescovi «il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e
politiche». Dunque, la decisione su eventuali interventi e pubbliche
prese di posizione va lasciato alla Conferenza episcopale. Con un nota
bene: lo scorso maggio, intervenendo all’assemblea della Cei, il Papa
aveva chiesto di «rinforzare» l’«indispensabile ruolo» dei laici, i
quali «non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota o di un input
clericale per assumersi le proprie responsabilità». A Firenze, lo scorso
novembre, parlando all’intera Chiesa italiana, Francesco aveva
raccomandato «la capacità di incontro e di dialogo per favorire
l’amicizia sociale» nel Paese. E aveva auspicato: «La Chiesa sappia
anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono
all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del
contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune.
I credenti sono cittadini». Il come contrastare queste «minacce»
dovrebbe essere prerogativa di laici cattolici che non cercano né
«benedizioni» previe alle loro iniziative, né «sconfessioni» dall’alto
per quanti non la pensano esattamente come loro. Lasciando ai vescovi il
ruolo di pastori fuori dalla cabina di pilotaggio.