La Stampa 20.1.16
Schiavi dell’Isis 3500 donne e bambini
Rapporto dell’Onu sulle violenze in Iraq: dal 2014 almeno 19 mila civili uccisi, oltre 3 milioni di sfollati
di Francesco Semprini
Uno
degli spettacoli più strazianti che si osservano camminando tra i
ruderi di Sinjar, nell’Iraq nord-occidentale a una manciata di
chilometri dal confine siriano, sono i resti delle cosiddette stanze
dell’odio, quelle camere delle torture e degli stupri a danno degli
Yazidi, la popolazione della piana di Niniwa vittima del genocidio
perpetrato dai tagliagole di Abu Bakr Al-Baghdadi dopo la caduta della
«città martire» nell’agosto del 2014.
Sono loro la stragrande
maggioranza delle 3.500 persone ridotte in schiavitù dalla folle
applicazione della Sharia da parte dei carnefici dello Stato islamico. I
numeri li fornisce l’Onu nel rapporto realizzato dalla missione di
assistenza delle Nazioni Unite per l’Iraq (Unami) e dall’ufficio
dell’Alto commissario per i diritti umani (Ohchr), che prende in
considerazione il periodo dal primo gennaio del 2014 al 31 ottobre 2015 e
si basa sui racconti di vittime e testimoni.
Circa 3.500 persone,
soprattutto donne e bambini della minoranza yazida, sono «attualmente
detenute in schiavitù», mentre a Mosul 800-900 bambini e adolescenti
sono stati sottratti alle famiglie per essere sottoposti a corsi di
istruzione religiosa e addestramento militare. Il catalogo dell’orrore
conta almeno 19 mila civili uccisi e oltre 3 milioni di sfollati di cui
un milione di bambini in età scolare.
Un orrore al quale il mondo
sta reagendo militarmente con la coalizione a guida Usa messa in campo
per sostenere le forze di terra irachene nell’opera di riconquista del
territorio e liberazione degli ostaggi. Coalizione che dopo la
liberazione di Kirkuk, Sinjar e quella incompleta di Ramadi, punta ora a
innescare una sorta di anemia del Califfato, privandolo di petrolio e
denaro.
Da qui i continui attacchi ai pozzi nell’est della Siria e
la distruzione dei silos usati come caveau. Danni che hanno spinto il
Califfato a varare misure di austerity come l’Occidente durante la
recente crisi. In primis riducendo gli stipendi dei combattenti, come
spiega un documento dell’Isis datato «Safar 1437», per il calendario
islamico corrispondente a novembre e dicembre 2015: «Considerando la
situazione eccezionale in cui si trova lo Stato islamico è stato deciso
di ridurre della metà i salari pagati ai combattenti». Dalla Siria,
intanto, arriva anche la conferma della morte di Jihadi John, il boia
dell’Isis ucciso da un drone a Raqqa.